-Core
Filippo Dallinferno
Italia
Pubblicato il 03/10/2024 da Lorenzo Becciani

Prima di tutto complimenti per il nuovo album che di italiano, a parte i testi, ha ben poco. Capita infatti raramente di ascoltare dischi dal profilo estero, sia in termini di produzione che di songwriting, provenienti dalla nostra scena.
Diciamo che l’industria non aiuta. Siamo legati alla musica di consumo e c’è poca cultura dell’ascolto. Devi avere l’intenzione per entrare in qualcosa che non è così semplice. Purtroppo non fa più parte della nostra normalità.

Proprio l’altro giorno parlavo con Mark Arm dei Mudhoney che mi ha fatto riflettere su come la gente sia più interessata allo sport che alla musica. 
É allucinante come ci siamo abituati a consumare solo quello che ci è più familiare. Io però sono un romantico e penso che se ci sono io ad apprezzare queste cose sicuramente ci sarà anche qualcun altro. Se siamo in pochi va bene lo stesso. Lo faccio per amore e per star bene. Poi siamo entrati nell’era dell’acquario quindi mi auguro che le cose cambino in meglio. 

Qual è il tema principale dell’album?
Sia il tema che l’estetica di ‘Aqarius’ richiamano il rock di fine anni ‘60. Ho preso di mira un anno specifico e cioò il ‘69, celebre per avere rappresentato la fine del sogni di pace, amore e fratellanza assoluta. Purtroppo legati a quel periodo sono omicidi, sequestri, gli efferati atti di Charles Manson e  la sua famigerata famiglia. In quell’anno il sogno è scomparso dalla televisione ed è stato sostituito dal sangue. Il disco vuole rappresentare un po’ questa cosa, cioè un palleggiare tra situazioni che tendono a relazioni spirituali e la messa a fuoco di un’identità personale con momenti di assoluto realismo. Due visioni del mondo distinte che ho cercato di descrivere attraverso dei personaggi.

Sai che sono un assoluto feticista di Sharon Tate. Seguo un account Instagram dove ogni giorno vengono pubblicate foto bellissime dell’attrice e modella brutalmente assassinata.
Immagino. È come un contatto col diavolo.

Quando hai cominciato a scrivere i pezzi?
Ho scritto il disco dopo un lungo periodo in cui sono stato in tour con la mia band precedente. In giro sui furgoni o nei locali sudici non è facile trovare la concentrazione. É una bellissima esperienza perché conosci tante persone interessanti, ma dopo un po’ ero stufo e quindi sono tornato in Italia, ho aperto il mio nuovo studio di registrazione e ho scritto dei pezzi che raccontassero il mio amore per la chitarra elettrica. All’inizio il pezzo era solo uno e durava circa trenta minuti. Poi l’ho razionalizzato, l’ho diviso in altri pezzi e ho cominciato a lavorare meticolosamente al progetto. Anche le parole sono nate in maniera naturale. Non c’è stato niente di forzato. Non avevo alcun bisogno di fare un disco. È come quando trovi un amore nel modo più inaspettato.

Come nascono parti vocali così rabbiose? Immagino non sia facile cantare così.
Non lo è affatto e spesso mi maledico per questo. Ho alle spalle tanti anni di live in cui mi si chiedeva un certo contributo vocale e col tempo ho trovato questa tipologia di linguaggio, che ritengo particolarmente evocativa soprattutto per esprimere alcuni concetti. Sono sempre stato appassionato di contrasti come parlare di amore urlando e parlare di odio sussurrando all’orecchio. 

Attualmente i miei pezzi preferiti sono ‘Madre Fortuna’ e ‘All’Ombra Di Venere’. Ce ne vuoi parlare?
‘Madre Fortuna’ è una metafora della fuga. Consiste nel paragonare la vita di ognuno di noi a quella di un bandito che si macchia di vari reati. Viviamo in una società in cui il benessere economico viene prima della serenità personale e siamo in costante corsa verso qualcosa di effimero. ‘All’Ombra Di Venere’ parla di due amanti che non possono più stare insieme perché non si amano più. Il rapporto si è rotto, si parlano solo da lontano e si abbandonano all’idea di non potere più essere una cosa sola.

Chi è invece il Cosmonauta Zavadovsky?
Alla base di questa canzone c’è il mio interesse per la Guerra Fredda e questa corsa sfrenata tra Stati Uniti e Unione Sovietica ad arrivare prima nello spazio.  Zavadovsky è uno dei cosiddetti cosmonauti fantasma, ciòè fa parte di quel gruppo di cosmonauti partiti per lo spazio e magari esplosi in orbita o bruciati nel rientro nella nostra orbita. Ho cercato di immedesimarmi in questo personaggio, pensando alle sue possibili ragioni e facendo finta che non fosse un mero lavoratore per un regime dittatoriale. Per esempio la volontà di lasciare il segno nella storia a discapito della propria vita. Tra l’altro c’è una bellissima storia che riguarda i fratelli Judica Cordiglia, due appassionati di telecomunicazioni che intercettarono gli astronauti russi e americani durante le loro spedizioni. Queste registrazioni sono state conservate gelosamente e i fratelli sono stati contattati più volte dai servizi segreti in merito.

Cosa puoi dirci invece sulla collaborazione con Charlie Musselwhite?
È stato come realizzare un sogno. Ha registrato tutto a Clarksdale nel  Mississippi e quindi non ho potuto essere presente, ma è stato bellissimo potere scambiare messaggi con lui.

Cosa hai fatto prima di ‘Aquarius’?
Sono stato in tour con i Crazy Town dal 2017 fino allo scoppio del Covid. A quel punto i nostri piani sono andati all’aria e così sono tornato in Italia, ho aperto il nuovo studio e mi sono dedicato alla produzione di questi brani e di altri artisti. Un lavoro che mi piace molto perché mi permette di avere momenti di scambio con altri musicisti. Prima dei Crazy Town, ho fatto parte dei Fire di Olly degli Shandon, con cui ho registrato due dischi e abbiamo portato a termine due tour europei. Ho fatto parte poi del progetto Rezophonic per diversi anni e dei Casablanca del mio amico Max Zanotti, che adesso è in tour con i Bloom e Giusy Ferreri. In precedenza avevo pubblicato anche un altro lavoro solista, più punk rock di questo, e avevo suonato blues in giro per il mondo con J.C. Harpo.

Come sei entrato nei Crazy Town? 
C’è una piccola comunità di italiani a Hollywood, tra in quali un caro amico bassista. Quando i Crazy Town sono venuti in tour in Italia avevano un paio di settimane di riposo e si sono piazzati a casa mia sul lago di Como. Ci siamo rilassati e abbiamo anche scritto e registrato delle cose. A quel punto è stato naturale invitarmi ad entrare nella band e così sono partito con loro e sono tornato a casa tre anni dopo. È stata un’esperienza incredibile e ne approfitto per mandare un abbraccio a tutta la famiglia di Shifty.

Quali sono i tuoi chitarristi preferiti?
Su tutti Jimi Hendrix. Un altro chitarrista che adoro è Peter Green dei Fleetwood Mac, che ha fatto anche parte dei Bluesbreakers  di John Mayall. Credo che rappresenti l’incarnazione del blues inglese. Poi ho ascoltato tanto Cream, Jeff Beck e il primo Santana. 
 

Filippo Dallinferno
From Italia

Discography
Filippo Dallinferno - 2012
Aquarius - 2024