Ciao Denise, dove ti trovi in questo momento?
Sono in Irlanda!
Ti invidio allora. Mentre aspettavo la tua chiamata ho dato uno sguardo alla vostra homepage e credo che uno dei concetti più importanti tra quelli che desiderate trasmettere sia legato alla trascendenza. Come può la musica provocare trascendenza? Sia nel pubblico che in chi la esegue..
E’ una bellissima domanda. Tutto dipende dall’intento per cui la musica nasce. Credo che la musica sia uno strumento straordinario di connessione, sia con sé stessi che fuori di noi. Se fatta per divertirsi va benissimo ed è un tipo di strumento. Però può essere utilizzata anche come metodo per trascendere la materia e collegarsi a mondi sottili. Con le Uttern cerchiamo di proporre qualcosa di molto reale. Vogliamo che la musica sia attuale ma anche considerarla come uno strumento di connessione con qualcosa che è veramente sottile.
Come sono nate le Uttern? Eravate coinvolte in altre band in precedenza?
É stato tutto molto casuale. Sono stata a The Voice Italy e ti assicuro che non era mia intenzione fare televisione. Però è successo e, appena dopo aver terminato il programma, mi sono imbattuta in queste ragazze. Sono arrivate a me in maniera naturale dopo circa dieci giorni. Subito si è materializzato l’intento di creare un progetto di questo. A me non interessava avere una carriera solista come cantante o comunque occuparmi di musica celtica, sebbene continui ad adorarla. L’intento era di connetterci con qualcosa che esiste da migliaia di anni, ancora prima che si sviluppasse la cultura celtica o che certi mondi diventassero commerciali. Un intento legato ai solstizi, agli equinozi, ai cambiamenti della terra e del cielo, ai nostri antenati e ad una spiritualità libera.
Quindi, al di là della musica, c’è anche una ricerca storica e filosofica importante dietro al progetto?
C’è tanto studio dietro. Fin da quando avevo diciotto anni ho vissuto in monasteri indiani, sono stata con gli sciamani sulle Ande e in giro per il mondo. Altre di noi hanno portato avanti studi filosofici e in generale studiamo la tradizione e percorsi che vanno oltre la musica. Sono felice di avere trovato queste sorelle con cui c’è un continuo dialogo.
Come sono nate le prime canzoni?
Sono arrivate di notte. Invece ‘Meditera’ è stato più elaborato e pianificato perché abbiamo scelto di usare degli idiomi particolari: Il latino che non parlo, il greco e il sardo che è legato alla mia terra d’origine. In passato avevo già lavorato ad un album in antico aramaico ma per svolgere al meglio il lavoro mi sono rivolta a dei docenti con cognizioni di grammatica.
Quale pensi che sia la differenza sostanziale tra ‘Gudinna’ e ‘Mediterra’? C’è stata un’evoluzione in termini di scrittura?
Sì, ‘Mediterra’ è la testimonianza delle sonorità del Mediterraneo ed è legato alla cultura dell’area in cui viviamo. In realtà è un album a metà perché l’idea è di pubblicare altri pezzi in etrusco e veneto antico.
Uscirà un full lenght a breve?
La nostra idea è di pubblicarlo il prossimo anno.
Per un’etichetta o sempre in maniera indipendente?
Non posso ancora svelarlo.
Uno degli aspetti più interessanti del progetto è che non vi siete messe a copiare formazioni di successo come Wardruna o Heilung ma aveva proposto qualcosa di personale.
Abbiamo deciso di collocarci in un contesto geografico preciso che non è quello del Nord Europa o dei vichinghi. Con tutto il rispetto per il meraviglioso lavoro che stanno portando avanti altri gruppi, facciamo riferimento ad un mondo diverso e parliamo di un periodo storico nel quale non c’erano ancora pantheon di divinità bellicose. C’era l’idea di un unico grande spirito che era la grande madre, quindi non una dea femminile ma la concezione di un unicum dove la vita è una e siamo come in nativi americani per il continente europeo. Parliamo di almeno due-tremila anni prima dei norreni. Il rito del sacrificio o di poter vincere sull’altro non è contemplabile in una spiritualità dove la vita è sacra.
Anche il vostro paganesimo è diverso?
C’è un filo conduttore che è quello di sentire le fasi del cielo e della terra. C’è una connessione con l’universo e con gli elementi. La spiritualità non è certo settoriale, ma nel periodo a cui facciamo riferimento non c’erano armi. Non perché le persone non fossero in grado di produrle, ma perché non ne sentivano il bisogno.
Te l’ho chiesto perché immagino che in questi anni siate state invitate a partecipare anche ad eventi che non era necessariamente ispirati al medesimo periodo a cui fate riferimento. Riuscite lo stesso a collocarvi?
Assolutamente sì. Anzi, ringraziamo sempre tanto. Pensa che qualche anno fa ci hanno chiamati ad una festa di San Patrizio, probabilmente senza comprendere a fondo che eravamo donne pagane. Si trattava di un festival, a sfondo chiaramente cristiano anche se si beveva tanto, nel quale veniva celebrato il Vescovo che ha ucciso buona parte dei pagani d’Irlanda. Quando siamo salite sul palco ho detto al microfono che era meraviglioso che ci avessero invitate, dopo duemila anni di persecuzioni, di violenza e di uccisioni di massa. Gli organizzatori sono rimasti a bocca aperta, ma il messaggio che volevo trasmettere era che è bellissimo andare avanti, oltre i traumi ed a tutto ciò che è successo. Dobbiamo celebrare la bellezza, senza demonizzarla.
Come descriveresti il vostro rituale live, visto che il passaparola crescente che sta scaturendo dalle performance dal vivo della band?
Durante i nostri concerti viviamo la musica in modo che la persona che ci ascolta possa percepire una condivisione totale e abbandonarsi. Il messaggio che arriva non è solo musicale ma anche spirituale, motivo per cui durante le esibizioni c’è sempre qualcuno della comunità dei druidi o un sacerdote pagano. Chiediamo di salire sul palco e potere effettuare una benedizione per vivere appieno quel momento. È una grande celebrazione come l’accensione del fuoco degli antenati.
Perché avete scelto proprio Diana tra tutte le dee da celebrare?
É una dea lunare, che non appartiene al mondo dell’Antica Roma e basta. È un concetto, un archetipo, la triplice luna (una crescente, una piena e una calante). Diana mi lega anche alla Sardegna, non solo perché shardana viene da shardiana. La Sardegna è una terra ricca di pozzi lunari e legata ai riti delle donne che riuscivano a far partorire sapendo determinate fasi o che riuscivano a guarire dalle malattie. Noi non andiamo a pregare un’entità o l’idea del divino che si manifesta in mille forme. Ci sono delle forze più grandi di noi e in queste forze c’è quella del cambiamento che avviene attraverso la ciclicità. Diana è il cambiamento ciclico, la luna che si trasforma.
Siete delle donne bellissime e delle artiste di spessore. Come scegliete immagine e costumi per rapportavi al pubblico?
É un’altra domanda molto interessante e non scontata. Quando ho vissuto negli Stati Uniti e più precisamente nello Utah ho visto i nativi americani andare a lavoro o nei negozi in jeans e maglietta, come tutti gli altri, e poi ritrovarsi la sera davanti al fuoco sacro con i loro copricapi tradizionali. Questo perché la loro cultura è ancora viva. Sento la stessa cosa, quando salgo sul palco o mi dipingo la faccia con pitture rituali. La lontra è un simbolo ed i nostri non sono vestiti di scena.
(parole di Denise Cannas)