Quarantadue edizioni. È un numero che fa spavento e per il sottoscritto il prossimo anno saranno trenta. Tanti anni trascorsi in Piazza Duomo a seguire esibizioni e trionfi, scoprire nuovi talenti, scambiare idee con tanti amici e soprattutto ascoltare grande musica in una cornice storica spettacolare.
Anche quest’anno la direzione artistica di Pistoia Blues ha puntato su un programma molto variegato con icone del passato (Steve Hackett), ritorni di spessore (Damien Rice e Ana Popovic), rocker dal profilo internazionale (Wolfmother e Dirty Honey) ed eccellenze della scena indie locale (Baustelle), lasciando l’inaugurazione ad uno degli artisti che ha saputo offrire spunti di riflessione maggiori a tutti gli appassionati di folk.
In effetti il genere che una volta veniva identificato con figure del calibro di Bob Dylan o Joni Mitchell, con il passare del tempo, è prima diventato indie e ha poi assunto sfaccettature mainstream. Rudd è un appassionato di surf ed ama trascorrere le sue giornate nella foresta e adottare lo stile di vita aborigeno tradizionale. Le sue canzoni includono storie di maltrattamenti delle popolazioni indigene della sua terra e ha partecipato a numerose cerimonie aborigene, condividendo le sue poesie ed i suoi inni di libertà con persone provenienti da diversi gruppi indigeni del Nord America Cree, Mohawk e Irochesi. Rispetto a lavori in studio come ‘Spirit Bird’ e ‘Sport Boy’, il suo ultimo album, impreziosito da spunti elettronici e psichedelici, rafforza il concetto di musica sciamanica creando una connessione immediata con l’ascoltatore.
La scaletta ha fatto forza su pezzi di grande respiro commerciale (‘Ball And Chain’ e ‘Follow The Sun’) ed altri in cui l’elemento spiritualità gioca un fattore determinante (‘We Deserve To Dream’, ‘Storm Boy’ e ‘Spirit Bird’). A colpire sono stati i suoni, assolutamente perfetti, e la capacità performativa al di là degli interventi del compagno aborigeno. Tra batteria, chitarra elettro-acustica, lapsteel, didgeridoo, una gigantesca stompbox ed effettistica varia, lo show promozionale di ‘Jan Juc Moon’ ha saputo coinvolgere i presenti, ancora storditi dal contrasto creato con l’accento romano del Muro Del Canto. Prima di loro sono saliti sul palco la selezionata del contest Obiettivo Bluesin' Microgeen, Jack Botts, un altro cantautore australiano noto per il suo folk costiero ed i lunghi tour in furgone, e la talentuosa Elena Matteucci.
Una serata calda e avvolgente, in attesa di riscoprire l’amore per i Genesis e per il prog rock degli anni settanta con la chitarra magica dell’autore di ‘Surrender In Silence’, che sarà accompagnato come sempre da musicisti straordinari tra i quali Roger King (The Mute Gods) e Jonas Reingold (The Flower Kings, Sea Within).
"Whisper in the wind sent me home
I'd believe there was somethin' more
Learned so much, fell in love with you
Took my chances with what I knew
With the places that had stained my hands
And the files that I'd stored on my shelf
Spent so long in the world givin' chase
Thought my place was some other place
That I belong here, I belong with you
And all of our questions belong here, too
'Cause we been high, darlin', we been low
And all of it's helped us grow
We belong here and we deserve to dream"