In vita mia ho partecipato a tanti festival. Alcuni di questi bellissimi ed altri disastrosi. Con tutte le condizioni climatiche possibili immaginabili, organizzazioni pessime e ritardi che si accumulavano come se nulla fosse. Con arrabbiature dell'ultimo minuto, concessioni al gruppo preferito e amicizie nate nel nome della comune passione per la musica. Sono quasi venticinque anni che faccio parte di questo mondo e ogni volta mi dico che sarà l'ultima volta e dopo qualche mese sono pronto ad affrontare qualunque sacrificio pur di ritrovarmi sotto quel palco con altre decine di migliaia di persone. Poche volte sono stato pero' gratificato sia dalla qualità della proposta artistica sia dal contesto generale come all'Iceland Airwaves. E' un po' come quando ti innamori perdutamente di una ragazza. Prima ami gli occhi, lo sguardo fisso nel vuoto o rivolto verso di te, poi le labbra, il collo, le mani, il portamento. Poi la conosci e ti rendi conto che bastano poche parole per esserne rapito. Per sempre. Magari non la rivedrai mai più. Forse non sarà mai una storia vera ma il cuore batte forte e non è più possibile tornare indietro. Così è successo con questo evento che cattura l'attenzione del popolo islandese e rappresenta per l'intera nazione una straordinaria opportunità economica al di fuori dei mesi estivi nei quali si concentra l'ottanta per cento del turismo.
Il luogo dove si svolge gioca chiaramente un ruolo fondamentale. A chi non è mai stato in Islanda e ama il Nord Europa consiglio di non aspettare oltre. Lo stupore che provo tutte le volte che percorro con l'autobus il tragitto dall'aeroporto di Keflavík alla celebre BSI di Reykjavík è qualcosa che le parole non riuscirebbero mai a descrivere. Qualcuno la chiama la terra del ghiaccio e del fuoco. So soltanto che le emozioni non sono le medesime che scaturiscono in altri territori. Amo la Finlandia, la Svezia e la Danimarca ma l'Islanda è speciale. Non c'entrano la Blue Lagoon, Gulffoss o Vik, Dettifoss, Þingvellir o Vatnajökull peraltro luoghi indimenticabili. E' una questione di aria. Camminare per Laugavegur, Ingólfsstræti e Flókagata alle sei del mattino ti trasmette una forza spirituale che ha dell'incredibile. La natura è dentro di te e ammirare la città aperta in tutte le sue parti per la musica e l'arte in genere quasi commuove. Oltre a magnifiche location come l'Harpa, dove John Grant e Sóley hanno scritto la storia del festival, Gamla Bíó, Art Museum, Fríkirkjan, Iðnó, Nasa e Vodafone Hall, ristoranti, locali, ostelli, biblioteche, banche, musei e teatri. L'unica divisione è tra venues e off venues. Concerti aperti esclusivamente a chi possiede il braccialetto del festival ed altri totalmente gratuiti. In questo modo, anche non volendo rimanere fedeli ad una traccia o al programma che si è stabilito, è possibile seguire qualche bel sedere o semplicemente un suono e scoprire artisti fantastici. Senza dimenticare, a volte, di guardare in alto. Lassù dove regna Hallgrímskirkja e quella croce che illumina tutto, sebbene infinitamente piccola rispetto al cielo. Il tutto mentre i ritornelli di '100,000' degli Úlfur Úlfur e 'I'll Drown' di Sóley – da brividi il suo concerto al Kaldalón la sera prima dell'inizio del festival con lei stessa incredula per la numerosa presenza di pubblico nonostante l'evento imminente ed altre tre esibizioni che l'avrebbero vista protagonista nei giorni seguenti - mi mandavano fuori di testa ed il pensiero di una nuova vita era sempre più reale. La professionalità di tutti gli addetti ai lavori e la capacità di ottenere dei suoni perfetti anche in luoghi normalmente non adibiti a sale concerti sono altrettanto sorprendenti ma niente in paragone alla sicurezza che ho potuto percepire in qualunque posto mi trovassi. Oltre novemila tagliandi venduti, quasi trentamila persone annunciate per il weekend, musicisti, giornalisti, turisti di ogni tipo e nessun poliziotto. Gli steward erano tutti volontari e passavano il tempo a dare informazioni e indicare le varie location ai meno esperti. Security in pratica inesistente nonostante grandi folle e ritmi non certo da musica classica. Al massimo tre macchine in fila al semaforo. Una realtà che dovrebbe spingere ad una profonda riflessione chi organizza eventi, a prezzi esorbitanti offrendo servizi insufficienti agli spettatori, nel nostro paese e poi si lamenta dell'assenza di una cultura musicale o dello scarso supporto.
Grande rilievo è stato concesso alla conferenza stampa di Björk, che ha promosso Protect The Park, progetto che la vede al fianco di Darren Aronofsky, sottolineando il problema ambientale e come la musica islandese, inevitabilmente catalogata da etichette e mercati esteri, stia rischiando di perdere la sua essenza, ed alla presentazione di 'Circe' e del documentario impressionista di cui un paio di membri dei Sigur Rós hanno realizzato la colonna sonora. A fare la differenza poi sono state le persone. Il solo travellers group per esempio è stato un successo e mi ha permesso di conoscere ragazzi provenienti da altre realtà e condividere con loro spazio, tempo e emozioni. Con molti degli iscritti è nata condivisione di intenti ed un'amicizia che non si spiega soltanto con l'interesse per un gruppo o un genere musicale. Carmel, Thiago, Gohar e Hilma sono solo alcuni nomi ma significano molto. Inutile dire poi che l'accoglienza generale è stata superba a partire dalla sala stampa e dal media center in cui si svolgevano le conferenze. L'app del festival permetteva di leggere una biografia del gruppo che si desiderava vedere, ascoltare le sue canzoni più titolate e ricevere in tempo reale notizie e modifiche del programma. Nel backstage non c'era un solo musicista che facesse pesare la sua celebrità. Ryan dei Low Roar, Arnór Dan Arnarson degli Agent Fresco, Georg Hólm dei Sigur Rós e suo fratello Kjartan Dagur, che ha spaccato presso il Loft Hostel di Bankastraeti con i suoi For A Minor Reflection, sono tra coloro che hanno mostrato di amare in maniera particolare questo periodo dell'anno ma anche i ragazzi di Kontinuum, Oyama, Vio, Æla e Vök mi hanno fatto sentire come se fossi a casa loro. Domenica sera, poco prima che l'aurora boreale ci rendesse omaggio, con altri colleghi e amici, si tracciavano le conclusioni cercando di individuare le rivelazioni o comunque le esibizioni più interessanti e vi assicuro che la portata culturale dell'evento aveva contagiato tutti. Impossibile stabilire quanti input abbiamo ricevuto in questa estenuante e magnifica settimana durante la quale non ho riservato al sonno più di un'ora a notte. E' per questo che ho deciso di stilare un report del tutto particolare e diverso dai precedenti. Non la solita classifica di merito ma un diario da tenere a mente per chi nutrisse ancora dubbi sulla partecipazione alla prossima edizione alla quale certo non mancherò.
Di seguito trovate il report serata per serata: