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Iceland Airwaves 2016 - Thursday

La seconda giornata di Iceland Airwaves è stata all'insegna delle celebrazioni del decennale di Bedroom Community, etichetta islandese fondata da Ben Frost, Valgeir Sigurðsson e Nico Muhly che per l'occasione hanno studiato uno show complesso coinvolgendo le diverse personalità artistiche del catalogo insieme all'Iceland Symphony Orchestra. Nel contesto del Whale Watching Tour, numerosi solisti si sono susseguiti sul palco dell'Harpa Eldborg sfidando l'orchestra e mutuando la loro proposta con arrangiamenti classici ma anche avanguardistici. In tal senso vedere Ben Frost manipolare un paio di synth modulari in un ambito del genere è stato sicuramente affascinante. Un altro concerto speciale si era svolto qualche ora prima a Hlemmur Square con Sin Fang, Örvar Smárason dei Múm, membri degli FM Belfast, Thomas Morr e Prins Póló. Il mio pomeriggio era iniziato con la magnifica esibizione dei Samaris al KEX a testimonianza di una crescita esponenziale di Jófríður Ákadóttir come interprete ed in generale della band che con 'Black Lights' e 'Tempo' possiede adesso due singoli in grado di fare sfaceli all'estero. Un altro concerto da brividi è stato quello dei Vök allo Slippbarinn dell'Icelandair Hotel Reykjavík Marina durante il quale Margrét Rán ha deliziato i presenti con una voce che non ha del naturale. A seguire Sin Fang ha anticipato la sua esibizione al Gamla Bíó mentre i Tófa devastavano il 12 Tónar e Emmsjé Gauti lasciava il segno sia al Bar 11 che all'Hard Rock Cafè. Eccellente la proposta del Loft che ha concesso spazio in ordine a Lord Pusswhip, Alvia Islandia, Úlfur Úlfur e GKR arricchendo un pomeriggio piuttosto freddo in cui pure Ylja, Mr. Silla, Coals ed il “punk pop house party” delle Dream Wife – non tanto sconosciute visto che ‘Lolita’ è stata cantata a memoria da buona parte dei presenti - hanno attratto nuove persone alla propria musica. La serata ha visto trionfare i Fufanu, saliti sul palco dell'Harpa Silfurberg poco dopo gli Oyama, che l'anno passato erano stati la rivelazione assoluta del festival e che si apprestano a tornare nei negozi a febbraio con 'Sports', prodotto da Nick Zinner degli YeahYeahYeahs. Anima punk, synth e batteria pronti ad essere distrutti sul palco, un sottofondo di immagini digitali legati alle discipline sportive più note ed un frontman come Kaktus Einarsson capace di dominare il mondo. Il figlio di Einar Örn Benediktsson dei Sugarcubes possiede la capacità di rapire lo sguardo del pubblico e trasportarlo in una dimensione cara a New Order e Public Image Ltd. Per chi desiderasse restare all'Harpa, i dialoghi sull'uomo di John Lydon, Högni, Conner Youngblood e Leyya – stupende le loro ‘Superego’ e ‘I’m Not There’ - rappresentavano interessanti alternative ma niente di comparabile a quanto previsto al Reykjavík Art Museum, location fantastica perché immersa nell'arte e dotata di un'acustica eccezionale oltre che di tanto spazio, dove si sono esibiti in ordine JFDR, Julia Holter, Margaret Glapsy e Mammút. Mentre il concerto dell'autrice di 'Have You In My Wilderness' è stato all'insegna dell'intimità e dello spessore delle liriche quello della cantautrice californiana, da poco nei negozi con 'Emotions And Math', ha destato stupore per l'intensità di un folk pop che non desidera essere troppo catalogato. A metà serata circa Aron Can ha fatto il tutto esaurito al NASA e questo non sorprende considerato il successo avuto da ‘Enginn Mórall’ e dal mixtape ‘Þekkir Stráginn’ ma fa comunque riflettere visto che il rapper ha ancora sedici anni e possiede un flow incredibile. Altri “solo travelers” mi hanno parlato bene di Die Nerven e Go Dark così come sono certo che Soffía Björg non avrà mancato di fare innamorare qualche spettatore grazie alla voce suadente ed agli occhi impenetrabili. Oltre al Partybrunch! con Birth Ctrl e Morning Bear al Friðarhús nella proposta off-venue hanno spiccato Hildur, Mikael Lind, la spensieratezza di dj. flugvél og geimskip e il carisma di Þórunn Antonía che ha incantato il Verbúð 11 Lobster & Stuff. Un discorso a parte lo merita però Sóley che al Mengi di Óðinsgata ha regalato sospiri e visioni con una semplicità che compete solo alle più grandi artiste. Nella sua proposta c'è tutto ovvero voce meravigliosa, pianoforte, chitarra e elettronica. Retaggi classici, pop, musica d'autore, cantautorato e tutto quello che è classificabile sotto il terribile termine indie. L'ex Seabear non ha rivali in questo momento sul territorio islandese e le label estere se ne sono già accorte. 

Parole di Lorenzo Becciani