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Iceland Airwaves 2016 - Friday

Quella di venerdì è stata forse la giornata più ricca dal punto di vista musicale e dei diversi stimoli regalati dal festival. Ogni location poteva sfoggiare un programma da brividi e fin dalle prime ore del pomeriggio le persone hanno dovuto prendere decisioni importanti per non perdersi i propri artisti preferiti. L'evento speciale era senza dubbio la collaborazione tra múm e Kronos Quartet, andata in scena all'Eldborg davanti ad un pubblico entusiasta. Personalmente ho trovato pazzeschi i primi trenta minuti in cui gli autori di 'Summer Make Good' e 'Sing Along To Songs You Don't Know' che hanno confermato una duttilità incredibile in bilico tra elettronica, musica popolare e retaggi classici. Il set del Kronos Quartet è stato interessante a metà con la cover di 'Baba O'Riley' dei The Who che forse poteva essere evitata. Una volta insieme i due collettivi hanno dato prova che la musica non ha confini e il teatro ha risposto in maniera entusiasta. Al Reykjavík Art Museum Vök e Samaris hanno ribadito il loro strapotere mettendo i Minor Victories nella condizione di dare il massimo davanti a tantissima gente. Alla Silfurberg è stato un crescendo di emozioni a partire dalle esibizioni di aYia, Dream Wife e Reykjavíkurdætur che hanno scaldato i presenti, prendendosi molti rischi, e continuando con Warpaint e Kiasmos. Le autrici di 'Heads Up' hanno rappresentato una delle poche delusioni di tutto Iceland Airwaves. Il loro set infatti è stato accolto dal boato della sala ma si è rivelato indolente e di scarsa profondità. Forse stanche dal lungo viaggio le ragazze non hanno fatto molto per elevare la propria performance e le hit si sono susseguite quasi come un compito prestabilito. Di tutt'altra caratura la prestazione di Ólafur Arnalds and Janus Rasmussen che stanno per dare alle stampe un nuovo album e hanno regalato ai loro fan un'architettura di laser senza precedenti. Nonostante la rigidità degli orari, caratteristica peculiare della manifestazione, i Kiasmos hanno fatto davvero fatica ad abbandonare la loro postazione e lasciare il palco. Supplicati dalla folla hanno eseguito altre due tracce nel delirio generale. Niente male l'alternativa della adiacente Norðurljós Hall che ha regalato due concerti incredibili. Prima le Thunderpussy si sono candidate a rivelazione assoluta del festival e probabilmente del prossimo anno visto che il loro disco aspetta solo di essere pubblicato. La carica delle ragazze è micidiale ed in questo momento sfido a trovare una band di Seattle e dell'intero Nord America in grado di allestire il medesimo show. Whitney Petty è una furia e Leah Julius una bassista da tenere sotto stretta attenzione. A notte fonda è arrivato il turno invece dei Sólstafir, al lavoro sul successore di 'Ótta', che si sono tolti lo sfizio di annichilire l'audience con un set potente e calibrato alla perfezione. Letteralmente scatenato Aðalbjörn "Addi" Tryggvason e da brividi la chiusura riservata a 'Goddess Of The Ages', estratta da 'Köld' e una delle gemme più preziose nel panorama viking metal. Una volta appreso lo schedule ufficiale avevo subito fatto notare all'organizzazione ed agli altri “solo travelers” come la scelta di fare suonare gli Of Monsters And Men al NASA fosse rischiosa. Non a caso due ore prima della loro esibizione la fila fuori dal locale sito in Thorvaldsensstræti era già notevole. Tante le persone che non sono riuscite a vedere gli islandesi ed alle quali è stata data un'altra possibilità il giorno successivo mettendo a disposizione l'affascinante Fríkirkjan per un altro set in cui 'Little Talks' e 'We Sink' sono state cantate a squarciagola da chiunque. Sempre al NASA, Emmsié Gauti, Glowie e Sturla Atlas facevano ballare gli appassionati di hip hop mentre al Gamla Bíó Berndsen conquistava con la sua ironia. Nulla a che vedere con quanto accadeva però ai vicini Húrra e Gaukurinn presi d'assalto per una serie di live sudati e rabbiosi. A stupire sono stati soprattutto Alvia Islandia e The Idles. La “bubblegum bitch”, salita sul palco dopo Lord Pusswhip, ha spiegato a tutti il motivo per cui tutti parlano di lei. Oltre ad un corpo da favola e ritornelli che si fissano facilmente in testa, le sue movenze non sembrano quelle di un'artista alle prime armi e la sensazione è che un singolo azzeccato potrebbe lanciarla nelle classifiche di tutto il mondo. Il quintetto di Bristol, guidato dagli scatenati Joe Talbot e Mark Bowen, ha sfasciato tutto costringendo i Fews, più famosi e chiamati ad esibirsi dopo di loro, agli straordinari per non sfigurare. Nel pomeriggio Samaris e Mammút hanno catalizzato l'attenzione al Bryggjan Brugghús, i Pink Street Boys hanno suonato a volumi indicibili al Boston, Sóley ha deliziato il Kaffihús Vesturbæjar col suo impressionante talento e Adia Victoria ha dato prova della sua bravura battendo il record di presenze al KEX Hostel. La sua voce ricorda quelle delle cantanti di colore che hanno fatto la storia del soul e del jazz statunitense, la sua grinta sembra provenire da un'adolescenza difficile e da retaggi punk, la sua bellezza non ammette repliche. 'Beyond The Bloodhounds' è ancora in rotazione sul mio stereo dal momento della sua uscita e il suo successore è fin da adesso destinato a consacrarla definitivamente. Da segnalare anche la buona prova degli Hórmónar, collettivo nato per il Músiktilraunir che con 'Ekki Sleppa' possiede già una hit da non trascurare. Meritevoli di segnalazione anche Aron Can e Coals, rispettivamente all'Alda Hótel ed al Bar Ananas, e i Tófa che pure a Hlemmur Square hanno messo in evidenza le qualità di Allie Doersch e Kjartan Holm, che ricordiamo dal vivo coi Sigur Rós. L'American Bar ha visto sfilare sxsxsx, Úlfur Úlfur e GKR, i We Made God hanno impressionato al Dillon, i Trptrych nei piccoli locali della Bad Taste, tra scaffali di cd e vinili, e infine i Dikta si sono dati da fare al Cintamani Bankastræti. A chiudere la serata e anticipare un party esclusivo con membri di Vök, Samaris, For A Minor Reflection e l'onnipresente Sin Fang, ci hanno pensato i Lily The Kid, tra le tetre mura del Gaukurinn, e BLKPRTY, in un Húrra, particolarmente amato dalle americane. 

Parole di Lorenzo Becciani