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Iceland Airwaves 2016 - Sunday

Una mattina di meritato riposo dopo due giorni stressanti e magnifici, trascorsa a correre sulla Sculpture & Shore Walk e lungo la Sæbraut fino al Viðey Ferry Terminal, mi ha chiarito le idee in attesa del gran finale. A mezzogiorno, il Pratybrunch! con asdfhg. e un passaggio obbligatorio a 12 Tónar e Bad Taste per acquistare qualche vinile hanno anticipato una delle esperienze sensoriali più belle di tutta l'avventura a Reykjavík con la sonorizzazione di 'Menschen am Sonntag', straordinaria pellicola muta di Robert Siodmak del 1929, a cura dei múm. In un Bryggjan Brugghús gremito fino all'impossibile sono stati allestiti due schermi per proiettare il film con la band nel mezzo che suonava e spesso improvvisava allo scorrere delle immagini. Un approccio che mi ha ricordato molto quello dei Giardini Di Mirò con ‘Il Fuoco’ e che ha visto primeggiare Gunnar Örn Tynes ed il percussionista finlandese Samuli Kosminen autore di una prestazione da stropicciarsi gli occhi. Ancora emozionato mi sono diretto al Kaffibarinn per godermi, in totale intimità, una tazza di tè caldo e il set di Gyða Valtysdóttir, capace di scavare nell'animo dei suoi fan con voce delicata e violoncello. Nel frattempo i reduci del KEX potevano ballare con la Diskótek organizzata da Party Zone e Möller Records sebbene la vera festa fosse al Valshöllin con una conclusione di festival non adatta a cuori deboli. Prima le RuGl e poi i Mammút hanno tentato di sfruttare nel migliore dei modi l’opportunità concessa loro e approfittare del calore e dell’eccitazione senza freni presente nel palazzetto. Quando poi PJ Harvey e la sua fanfara di elementi sono saliti sul palco il magnetismo, la bellezza sconvolgente e una voce che non sembra conoscere l’usura del tempo hanno fatto la differenza. La cantautrice di origini anglosassoni si è spinta più volte in territori folk e ha voluto con sé musicisti prestigiosi tra i quali il collaboratore di una vita John Parish, il sassofonista Terry Edwards, Mick Harvey dei Bad Seed, Alain Johannes, che ricordiamo con Mark Lanegan e Queens Of The Stone Age, ma pure gli italiani Enrico Gabrielli e Alessandro Stefana. Un gruppo in grado di supportare gli arrangiamenti complessi di ‘Let England Shake’ e ‘The Hope Six Demolition Project’, una coralità elegante e maestosa coerente col profilo di un’artista che non si è mai guardata indietro e nella quale l'intensità naturale delle composizioni non è mai venuta meno. La teatralità di PJ Harvey è cresciuta nel tempo mentre la sua energia è sempre quella di ‘Dry’. La sua capacità di dominare la scena, il suo sguardo letale e alcuni acuti da brividi hanno accompagnato un impianto lirico colmo di suggestioni e riferimenti politico-sociali. Magari avremmo voluto ascoltare ‘Down By Water’ e ‘To Bring You My Love’ nella loro versione essenziale e primitiva ma l’interpretazione di ‘50 ft Queenie’ è stata superba e la sua potenza evocativa sorprende ancora oggi nonostante la ribellione giovanile si sia necessariamente placata. Il pulmann per Keflavik alle sei del mattino non mi ha impedito di recarmi all’una di notte all’Húrra per l’ultima scorpacciata di decibel con gli Agent Fresco, reduci dal tour con i Katatonia e atterrati in Islanda solo un paio di ore prima. In questi anni Arnór Dan Arnarson ha saputo ritagliarsi uno spazio speciale tra i musicisti del luogo e ‘Destrier’ ha ottenuto un eccellente responso in tante nazioni. Il prossimo lavoro in studio sarà probabilmente quello della svolta in un senso o nell’altro ma ‘Pyre’, ‘See Hell’ e ‘Dark Water’ sono in ogni caso pezzi che farebbero scaldare anche il più glaciale dei nordici. 

Permettetemi una dedica a Carmel Evangelista, Søren Bisgård, Karina Nunes, Alvia Islandia, Celine Temps, Sóley Stefánsdóttir, Heather E. Andrews, Sadie Zoula, Beatriz Panichi Amaro, Darya Kulinka, Sigrid, Hilma Engström, Andrea Kaj, Elli Kyyrönen. Loro sanno perché. 

Parole di Lorenzo Becciani