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Iceland Airwaves 2018 - Sat Nov 10

Per niente ripreso dallo stratosferico Venerdì, ho avuto bisogno di un bagno caldo al Sundhöllin, assieme a Daði Freyr, per affrontare a mente lucida l’ultimo giorno di Iceland Airwaves. Gli Himbrimi hanno confermato le loro doti allo Slippbarinn che poi ha visto esibirsi gli Hórmónar, sui quali mi soffermerò a fine report, e gli Agent Fresco. Tre show uno più eccitante dell’altro, con una fermata obbligatorio al Hamborgarabúlla Tómasar ed un’altra al Landsbankinn per la dolcissima Bríet (dove poi è arrivato l’idolo rap degli adolescenti Aron Can). Gli artefici di ‘Destrier’ dovranno impegnarsi per fare meglio di quell’album e di tutto quello che è accaduto loro in seguito. Tour su tour, concerti ad altissimo grado di qualità e consenso, reazioni positive da tutto il mondo e tecnica e duttilità stilistica che viaggiano di pari passo e a duemila all’ora. Questi sono gli Agent Fresco e pezzi come ‘Pyre’, ‘Dark Water’ e ‘Eyes Of A Cloud Catcher’ spaccano come la prima volta che li abbiamo sentiti. AFK e Between Mountains hanno rappresentato delle ottime alternative nel pomeriggio prima del trasferimento a Frikirkjan. Nella chiesa che si erge di fronte al Tjörnin si sono susseguiti Tuvaband, Stella Donnelly e Ásgeir per un escalation di emozioni e brividi. Tuva Hellum Marschhäuser è una delle voci più accattivanti della nuova scena scandinava, l’autrice di ‘Thrush Metal’ è semplicemente deliziosa nel suo approcciarsi al pubblico e parlare di temi scottanti con grande leggerezza mentre il figlio del poeta Einar Georg Einarsson, seduto in prima fila, ha regalato uno show in totale contrasto con la complessa produzione all’Harpa dell’edizione precedente. Quest’anno ha imbracciato la chitarra e si è dedicato alle sfumature più acustiche e sottili delle proprie canzoni. ‘Dreaming’ l’apice di una scaletta che ha tolto le parole ai presenti ed è stata accompagnata dall’apparizione dell’aurora boreale. Dopo i Team Dreams – Sin Fang, Sóley e Örvar Smárason dei múm – i riflettori sono stati puntati su JFDR, in uno splendido vestito ricoperto di brillantini, che è salita sul palco del Floi con Kjartan Holm, Albert Finnbogason e Gyða Valtýsdóttir per uno show gigantesco e ambizioso. ‘Instant Patience’, ‘Wires’ e ‘White Sun’ ne hanno rappresentato il culmine ma, singole tracce a parte, a colpire è stata la globalità dello spettacolo, la fragilità eppure la potenza di una voce magnifica che tutti invidiano. Jófríður Ákadóttir è ormai un’artista completa che ha saputo confrontarsi con quasi tutti i generi esistenti al mondo e adesso, forte di un talento invidiabile, punta a mercati lontani. A Natalie Prass e Soccer Mommy poi ho preferito i Mammút che hanno innalzato non poco la temperatura all’Idnó mostrando come i pezzi di ‘Kinder Version’ siano quanto mai modificabili e dilatabili dal vivo. Oltre a potere una delle bassiste più belle al mondo, Vilborg Ása Dýradóttir, il gruppo che esordì per l’etichetta dei Sugarcubes ed ottenne il primo successo con ‘Svefnsýkt’, singolo estratto dal secondo lavoro ‘Karkari’, è capace di combinare una performance costantemente al limite con un mix originale tra alternative rock, indie pop e post punk. A chiudere la ventesima edizione di Iceland Airwaves ci ha poi pensato Devonté Hynes, eccentrico artista di colore che da qualche tempo si fa chiamare Blood Orange e da poco ha pubblicato l’ottimo ‘Negro Swan’. Uno sfolgorio di colori e spunti sonori - tra hip hop, soul e funk – che ha spremuto i presenti fino alle ultime risorse energetiche. Tra i concerti che non sono riuscito a seguire ho sentito parlare un gran bene di The Anatomy Of Frank, Pom Poko, Berndsen, Crumb e AV AV AV mentre Emmsjé Gauti ha scaldato il Reykjavik Art Museum e Daði Freyr ha messo in mostra la propria bravura all’Húrra. Un capitolo a parte lo merita infine la Domenica. Chi si è trattenuto per un altro giorno ha infatti potuto godere, oltre che di un sole bellissimo, di un’altra serie di concerti gratuiti tra Loft, Kaffibarinn e Gaukurinn. Il pomeriggio è iniziato con Áslaug Rún Magnúsdóttir che ha raccolto attorno a sé alcuni amici, tra cui Jófríður Ákadóttir con lei nei Samaris e Kaktus dei Fufanu, e sorpreso i presenti con una lunga suite elettronica sperimentale. All’ostello la performance di Zaar è stata preceduta da quella di IDK IDA, che proprio da JDFR si è fatta prestare il vestito della sera prima. Elettronica, arrangiamenti eccentrici e tanta classe per entrambe. Mentre la gente si affollava nei pressi del Kaffibarinn per l’esibizione dei FM Belfast, al Gaukurinn hanno vibrato i muri quando gli Hórmónar sono saliti on stage con il loro punk grezzo e letale, in bilico tra orgasmi stentati, attacchi di panico e pogo femministi improvvisati. Molto ruota attorno al carisma ed al talento di Brynhildur Karlsdóttir ma anche il basso di Urður Bergsdóttir e il sax di Hjalti Torfason svolgono un ruolo fondamentale nell’economia di un suono che con l’album ‘Nanananabúbú’ non ha ancora espresso tutto il suo potenziale.