Gli Hop Along hanno avuto il compito di inaugurare il festival, seguiti di pochi minuti dagli estrosi Pond, e soprattutto il Blue Stage, palco gigantesco che troneggia a qualche decina di metri dalla Press Area e dalla Artist Area. Frances Quinlan ha una bella vocina ed il gruppo indie rock di Philadelphia ci ha messo poco a dimostrare di sapere calarsi in una dimensione del genere. Nel viaggio di ritorno mi sono ascoltato il loro ‘Bark Your Head Off, Dog’, edito dalla Saddle Creek di Bright Eyes e Cursive, e devo ammettere che non è male. Mancano ancora di una produzione di un certo livello ma hanno buoni margini di crescita. Quando ho potuto valutare il programma ufficiale dell’evento mi ha spiazzato non poco trovare Tove Lo alle prime ore del pomeriggio. Mi aspettavo uno show a tarda notte quando le luci del palco possono perforare il buio e far risplendere ancora di più i capezzoli e le deliziose fattezze della cantante svedese. Direte voi, che palle ne abbiamo viste e riviste di donne nude. É vero, ma lei è speciale. Non perché si spoglia, non perché ammicca al pubblico, dal primo all’ultimo istante, ma perché con voce e movenze riesce sul serio a catalizzare l’attenzione dei presenti. Un talento che hanno in pochi e che l’autrice di ‘Blue Lips’ ha saputo mettere a servizio di performance chiamate a scandalizzare e lasciare il segno. La sua aperta bisessualità passerà inosservata in certe nazioni ma vi assicuro che in altre non è così scontata. Dispiace ammetterlo eppure possiede più attitudine lei dell’ottanta per cento dei gruppi rock italiani; come al solito, dovremmo solo imparare dalla scena scandinava ed il fatto che Jerry Cantrell abbia seguito con attenzione il concerto ne è la conferma. ‘Disco Tits’ e ‘Bitches’ i singoli più applauditi dalla folla ma il set è stato un continuo crescendo, compreso il momento in cui si è alzata il top e si è mostrata come mamma l’ha fatta, durante l’esecuzione di ‘Talking Body’. Se riuscirà a sfondare negli Stati Uniti non ce ne sarà per nessuno. I Phlake erano parecchio attesi da queste parti, ‘Weird Invitations’ è stato un grande successo in Danimarca e l’r&b di Mads Bo e Jonathan Elkær si presta bene per rilassarsi un attimo in attesa di una delle esibizioni centrali dell’evento. Sul palco non stanno male anche se lo spettacolo è migliorabile, soprattutto dal punto di vista scenografico. In ogni caso il pubblico ha risposto alla grande e le file davanti agli stand non è mai stata tanto corta. Gli Alice In Chains hanno iniziato con un leggero ritardo rispetto all’orario previsto e si sono subito impossessati dei presenti. Un impianto da brividi, chitarre e batteria a volumi pazzeschi e la voce di William DuVall hanno lasciato esterefatto chiunque, i più giovani che di sicuro non erano mai stati al cospetto della band, da poco nei negozi col bellissimo ‘Rainier Fog’, ma anche chi gli anni novanta li ha vissuti sul serio e ha sofferto quando Layne Stayley ci ha lasciati. Chi lo ha sostituito non ha mai avuto la pretesa di prenderne il posto nel cuore dei fan ma, album dopo album, ha provato pure ai più scettici che la classe e la dedizione abbattono qualunque ostacolo, pure quelli generazionali. I pezzi più recenti – su tutti ‘Check My Brain’ e ‘The One You Know’ - non hanno affatto sofferto l’alternanza con classici mostruosi come ‘Down In A Hole’ e ‘Rooster’. Il testo da brividi di ‘Them Bones’ è stato gridato a squarciagola come se il tempo non fosse passato e per molti il grado di commozione ha superato il limite del nascondibile. Il grunge non c’entra e non c’entrano nemmeno i milioni di copie venduti da ‘Dirt’. Gli Alice In Chains sono un’entità sonora che non conosce era o lasso temperale. Fanno parte di diritto della storia della musica ed il loro concerto è stato tra gli apici assoluti del Northside. Non male nemmeno i Foals, più commerciali e occupati a fare colpo sulle adolescenti, che hanno portato on stage i pezzi di ‘Everything Not Saved Will Be Lost Part 1’ e ‘What Went Dow’. Jimmy Smith è un chitarrista di valore e Yannis Philippakis un frontman che non teme il paragone con colleghi più illustri della scena anglosassone. La loro fama sta salendo di release in release e non mi stupirei se facessero il botto tra qualche anno. Una cena improvvisata ed è già il momento di Mike Skinner alias The Streets con il suo sound multietnico, in bilico tra hip hop. grime e garage. Il rapper non perde tempo e si butta immediatamente sul pubblico, Kevin Mark Trail cattura i riflettori un po' più tardi ed entrambi rendono intrigante il set. Divertenti anche per chi non ama il genere e perfetti per tirare un respiro aspettando i Tame Impala. La band guidata da Kevin Parker, sempre più paragonabile ad una divinità moderna, è stata inserita in chiusura della prima serata perché potesse creare un’atmosfera indimenticabile con la sua psichedelia liquida. Obiettivo riuscito dopo un paio di pezzi serviti a scaldare la folla, presa alla sprovvista da un acquazzone ma non per questo meno attenta del consueto. Quando avevo visto gli australiani di supporto allo stupendo ‘Innerspeaker’ , da cui non sono stati ripresi ‘Lucidity’ e ‘Solitude Is Bliss’, sembravano shoegaze da quanto il loro show era dimesso, intimo e distaccato. Lo stesso frontman, adesso una superstar, guardava basso, lasciava cadere i capelli sugli occhi e non usciva mai da certi territori. ‘Lonerism’ e ‘Currents’ hanno portato un’evoluzione sonora pazzesca e adesso gli australiani sono una della realtà mainstream più imporanti del loro continente. Mi ricordo quando venivano paragonati ai Silverchair di Daniel Johns, la cui carriera sarebbe potuta essere ancora più significativa se non avesse avuto tanti problemi di salute, e ora sono dieci volte più grossi. Nella proposta dei Tame Impala c’è ancora parecchio di neopsichedelia e space rock ma è evidente che l’aspetto commerciale e la produzione generale dello show, non solo audio-visiva, hanno preso il sopravvento. La scaletta è stata inaugurata da ‘Let It Happen’ e ‘Patience’ e subito il pubblico ha risposto in maniera entusiasta, cantando a memoria i pezzi e accompagnando i fasci di luce provenienti dal palco con braccia alzate e movimenti sussulturi. Da brividi ‘Why Won't You Make Up Your Mind?’ e l’accoppiata ‘Borderline/Apocalypse Dreams’ ma anche i due pezzi eseguiti dopo una breve interruzione, ‘Feels Like We Only Go Backwards’ e ‘New Person, Same Old Mistakes’, hanno lasciato l’impressione di essere al cospetto di una delle poche formazioni di cui ci ricorderemo tra vent’anni.