-Core
Northside 2019 - Saturday

Il terzo giorno di #NS19 è arrivato troppo in fretta e le visite all’ArOS, Aarhus Ø e Isbjerget mi hanno permesso di staccare un po' da una settimana solamente dedicata alla musica. Nel primo pomeriggio ho avuto modo di intervistare Oh Land, vero nome Nanna Øland Fabricius, e conoscerla per la sua dolcezza e simpatia. Il successo non l’ha cambiata e l’essere diventata madre l’ha completata, rendendo la sua proposta forse meno adatta alle classifiche ma sicuramente più accessibile per tutti. I pezzi di ‘Family Tree’, nuovo full lenght uscito a cinque anni da ‘Earth Sick’, hanno deliziato i presenti dopo i concerti di Barselona e Søren Huss. Un lungo vestito bianco, rossetto nero ed un piglio aggressivo che denota una grande voglia di tornare alla propria attività hanno caratterizzato uno spettacolo nello spettacolo. Prima di tutto la musica, un pop elettronico che non disdegna passaggi al piano, momenti sperimentali ed altri epico-trionfalistici, da vera regina nordica. Sapete della mia predilezione per il pop nordico, commerciale quanto volete ma spacca e ci sono pochi dubbi su questo, ma pezzi come ‘Human Error’, ‘Salt’ e ‘Brief Moment’ si fissano alla materia cerebrale per non lasciarla più. La ragazza di ‘Sun Of A Gun’ è cresciuta, ha messo da parte un po' di pailettes e trucchetti del mestiere e adesso si mostra ai tanti fan, molto più spogliata e onesta, per il proprio talento. Peter Sommer & Tiggerne hanno giocato in casa mentre i Keane si sono dovuti difendere dagli attacchi di The Minds Of 99, molto famosi in territorio danese grazie all’ottimo ‘Solkongen’, e Kurt Vile & The Violators. Quest’ultimo è il classico musicista che su disco non colpisce troppo ma che dal vivo riesce a trascinare un po' tutti. Il Red Stage è la sua dimensione ideale e il concerto, quando le luci della giornata cominciavano ad abbassarsi, è stato di grande presa. Niels Brandt, tuta rossa e sguardo spocchioso, ha aperto la performance su una gru sopra il mixer per poi tornare a terra e gettarsi nella folla a più riprese. Il post punk dei danesi, la cui fama è iniziata quattro anni fa con l’esibizione a Roskilde, è di facile presa e un po' ripetitivo ma ogni membro riesce a lasciare il segno. Spiccano soprattutto le chitarre di Anders Folke Larsen ed i synth di Jacob e Mikkel Bech-Hansen. ‘En Engel’, ‘I’m Gonna Die’ e ‘Alle Skuffer Over Tid’ le tracce più applaudite. L’attesa era in ogni caso tutta per Bon Iver che in questi giorni aveva lanciato il suo nuovo progetto con due singoli usciti in rete. La sua discografia parla da sola e pure il side project Big Red Machine, con Aaron Dessner dei The National, è stato premiato dalla critica. Nel giro di pochi anni Justin Vernon ha saputo tirarsi addosso tutta la scena indie e permettersi sperimentazioni in territori elettronici. La base della sua proposta è sempre la solita ed infatti il pubblico gradisce quando abbraccia la chitarra e torna il ragazzo che amava i dischi di suo padre e la ruralità dell’America degli anni ‘70 e ‘80 (‘Calgary’). Quando però Bon Iver si riappropria di synth e laptop lo spettacolo decolla, si imbizzarrisce e diverte, ingoia i colori come l’unicorno di un murales del festival sul tema dell’ambiente (‘____45_____’). Elementi di baroque pop e indietronica, la cui parvenza è sottolineata da fasci di luce blu e grande attenzione per i crescendo strumentali, rendono l’ascolto più vario e pezzi come ‘Towers’, ‘Perth’ e ‘Minnesota, WI’ riassumono un po' tutto quello che è stato il percorso artistico del cantautore del Winsconsin. Una breve pausa e arriva ‘Creature Fear’ e Northside la accoglie con un boato. Suspekt e The Blaze si sono occupati di sonorizzare il ritorno in albergo o nei propri appartamenti. L’ibrido tra horrorcore e hip hop dei danesi è divertente per i primi venti minuti, poi alcune soluzioni diventano irritanti e l’attenzione cala drasticamente. Il successore di ‘100% Jesus’ ci dirà se Orgi-E, Bai-D e Rune Rask riusciranno a sdoganare la propria proposta al di là del circuito rap locale. Molto più interessanti i francesi che, a dispetto di una presenza abbastanza sottotono nel backstage, hanno travolto i presenti con una serie di progressioni oniriche tra house, minimal e visual design. Di primo acchito possono ricordare Raime, per la potenza delle immagini, e Nicolas Jaar, per l’approccio melodico, ma la verità è che Guillaume e Jonathan Alric hanno saputo ritagliarsi uno spazio importante – e la chiamata a festival di spicco come Primavera, Coachella e Reading ne è la conferma – nello scenario elettronico-dance moderno. Sarà curioso vedere cosa sapranno realizzare in studio dopo l’ottimo riscontro ottenuto dal debutto su lunga distanza ‘Dancehall’. Tanta gente è rimasta a fare festa ma per chi scrive è già tempo di tornare a casa, tra lavoro, altri festival, uno da organizzare e un’altra estate a base di musica.