-Core
ICELAND AIRWAVES 2019 THURSDAY

Il pomeriggio del Giovedì è stato aperto da Arianna Ferro al Waldorfskólinn Sólstafir ma grande stupore è stato suscitato da Gabriel Ólafs, prodigio della neoclassica che ha portato i pezzi di ‘Absent Minded’ al Kex. A colpire non è tanto la sua tecnica quanto un tocco che ha dell’incredibile. Si prospetta un grande futuro per il ragazzo islandese che ha iniziato a suonare il pianoforte a soli cinque anni. La programmazione all’ostello occupato da KEXP è seguita con GDRN, voce spettacolare e commerciale quanto basta per scomodare paragoni illustri, e i Seabear. Questi ultimi rappresentavano, con la loro reunion, uno dei momenti di maggiore interesse di Iceland Airwaves e l’attesa di nove anni, dal bellissimo ‘We Built A Fire’ da cui hanno ripreso ‘Wolfboy’, è stata premiata con due esibizioni spettacolari. Sindri Már Sigfússon conosciuto dai piu’ come Sin Fang e da poco autore del magnifico ‘Sad Party’, e Sóley Stefánsdóttir, che prima si è esibita in versione solista allo Slippbarinn coperta da un velo nero, sono artisti capaci di emozionare e trascinare qualunque folla e gli altri membri, tra cui ricordiamo Ingibjörg Birgisdóttir, che nel contempo ha collaborato con Sigur Rós e múm, e Kjartan Bragi Bjarnason, sembrano divertiti a vederli esibire ancora assieme. La speranza è che la band, dopo aver pubblicato ‘Waterphone’, possa tornare presto nei negozi con un nuovo album. A metà pomeriggio i Vök hanno costretto i proprietari dello Stúdentakjallarinn a togliere tutte le sedie per poter permettere al pubblico di assistere all’ennesima esibizione trionfale. Margrét Rán Magnúsdóttir ha saputo catalizzare l’attenzione come sempre e nell’esecuzione di ‘Scarcity’ e ‘Night & Day’, dall’ultimo lavoro in studio ‘In The Dark’, che ha spostato gli islandesi su coordinate ancora più pop, si è davvero superata. Superba voce e grande capacità di connettersi con i fan di qualsiasi estrazione. Bríet e Hjaltalín hanno dominato al Reykjavík Art Museum e per la prima è stata una vera e propria consacrazione. Scarpe altissime, cappotto lunghissimo, trucco da star di Hollywood e corde vocali da brividi per una delle protagoniste assolute della nuova scena locale. Già l’anno scorso avevamo apprezzato il suo talento ma adesso è come vedersi al cospetto di una statua, di un monumento che attende solo i propri fan per essere ammirato e celebrato. ‘Into The Deep’, ‘Twin’ e ‘Ghosts’ sono i singoli che l’hanno lanciata ed il pubblico li ha cantati dal primo all’ultimo istante. Nell’oscurità del Gaukurinn, notoriamente il locale metal del luogo, si sono battuti i Kontinuum, nei negozi l’anno passato con ‘No Need To Reason’, e The Holy, che hanno da poco pubblicato ‘Daughter’. La band guidata da Birgir Thorgeirsson può vantare pezzi epici come ‘Shivers’ e ‘Breathe’ e ha ormai maturato un’abilità sorprendente nel discernere melodie dark in un contesto black metal davvero estremo. I finlandesi sono invece da annoverare tra le rivelazioni della manifestazione. Andatevi ad ascoltare ‘Land Before Time’ o ‘Can’t Remember Your Name’ per credere. All’Hard Rock Cafè è andata di scena Amanda Tenfjord, stella nascente del pop norvegese. Sapete che non sono certo un appassionato del genere eppure la sua ‘Let Me Think’, che a tratti sembra una versione accelerata di ‘Torn’ di Natalie Imbruglia, non mi è uscita dalla testa per tutta la settimana. Oltre che molto carina, la ventiduenne ha anche una discreta band di supporto e, assieme a Hanna Mia Mill e S.hel che si sono esibiti rispettivamente al Bryggjan Brugghús ed alla Nordic House nel primo pomeriggio, ha costretto tanti ragazzi a delle ricerche su Spotify. C’era grande attesa pure per Niklas Paschburg che nella pregevole cornice della Fríkirkjan ha regalato alcuni sprazzi di luce dal capolavoro ‘Oceanic’. La neoclassica aveva bisogno, dopo Nils Frahm e Nicolas Jaar, di una figura a metà tra impostazione tradizionale ed elettronica e la sensazione è che questo artista, ancora giovanissimo, possa davvero diventare enorme. Allorchè Mac DeMarco faceva il bello e il cattivo tempo al museo, per il sottoscritto la chiusura del Giovedì è stata al Gamla Bíó dove pure Björk, come al solito coperta con un velo nero, ha applaudito alla strepitosa performance di Jófríður Ákadóttir, anticipata sul palco dai cinematici Glass Museum ed accompagnata da Josh Wilkinson e dalle sorelle. ‘Taking A Part Of Me’ e ‘White Sun’ le gemme di una scaletta trionfale che ha allontanato ancora un altro pò la reunion dei Samaris. Sul palco del vecchio cinema di Reykjavík sono poi saliti Emmsjé Gauti, col suo hip hop esuberante e scenografico, e gli Shame e la loro immagine anti-rockstar. Gli inglesi hanno fatto impazzire i ragazzi sotto palco ispirandosi a Sex Pistols e The Fall, Charlie Steen è una furia ma a lasciare a bocca aperta è Josh Finerty con i suoi salti allucinanti e la tracolla del basso che si rompeva in continuazione. I pezzi di ‘Songs Of Praise’, uscito l’anno scorso su Dead Oceans, sono stati vomitati in sequenza impressionante e chi ama il genere avrà sicuramente un concerto da ricordare. A fine serata ero distrutto. Nelle edizioni passate la crisi di sonno e fame arrivavano di solito il Venerdì mentre stavolta è stata anticipata. Segno che sto invecchiando.