In una splendida edizione limitata in legno mi perviene il nuovo album del cantautore irlandese e gli otto anni trascorsi da '9' sembrano veramente un'eternità. Quante cose sono successe nel frattempo. L'addio di Lisa Hannigan, il viaggio in Mini Cooper per vedere i Radiohead a Barcellona e le lunghe soste a Reykjavik e Fireze che l'hanno allontanato ancora più dal mondo. Mentre inizio ad ascoltare 'My Favourite Faded Fantasy' mi viene in mente l'espressione piena di stupore di Birgir Jón 'Biggi' Birgisson nel raccontarmi dei concerti acustici organizzati presso il Sundlaugin Studio con amici invitati da tutte le parti del pianeta. E' chiaro che siamo al cospetto di un musicista particolare e di una personalità difficile da descrivere ma certa musica non ha bisogno di troppe analisi psicologiche. Arriva al cuore. Diretta. Ferisce l'anima. In questi anni Damien Rice ha reso il suo songwriting ancora più affabile e per non sbagliare si è presentato negli uffici di Rick Rubin con quaranta canzoni pronte. Il celebre produttore newyorkese non ha dovuto fare altro che scegliere le otto migliori, o che comunque capaci di trasmettere un senso di organicità maggiore, perché la purezza e l'autenticità dell'autore riuscisse a penetrarci senza esitazioni. Ogni passaggio risale ad un periodo emotivo differente eppure si lega con gli altri in maniera estremamente spontanea definendo ulteriori standard per gli appassionati di folk e indie rock. Inutile dire che gli arrangiamenti sono da brividi e non riesco a trovare una sola nota fuori posto. Si passa da momenti di sorprendente naturalezza, pallore e passione per la gelida brezza del nord a crescendo strumentali imponenti, archi che costruiscono grattacieli fino alle nuvole ed una voce quasi sussurrata che si erge ancora più alta. Si percepisce l'amore per i Sigur Rós e forse il contatto con la musica islandese era proprio quello che serviva per rendere l'immediatezza ancestrale di 'O' ancora più magica. Capolavori assoluti come la title track o 'It Takes A Lot To Know A Man', invocazioni commoventi come nel finale di 'Trusty And True' ed ancora le struggenti 'The Box' e 'The Greatest Bastard' che i fans avevano già imparato a conoscere dal vivo in tutta la loro potenza. La riflessione più profonda sulla relazione spezzata coincide però con la meravigliosa 'I Don't Want To Change You' che tocca le corde giuste e, prepotente, si candida a diventare il singolo dell'inverno sta per abbracciarci. Se questa è decadenza non possiamo che amarla e per l'ennesima volta vi consiglio di non compiere eccessive distinzioni di stile ma lasciarvi travolgere da un profilo cantautoriale che nella storia ha davvero pochi eguali.