Chi sono Gli Altri?
La formazione attuale de Gli Altri prende vita nel 2010 a Savona. Gabriele Lugaro e Andrea Nocco (già membri della nota band punk/hardcore 5MDR) decidono, insieme ad Andrea Avalli, Manuel Rosso e Lorenzo Colonna, di unire i canoni sonori e di indipendenza del punk/hardcore alla sperimentazione tra generi. Da quando abbiamo iniziato, è sempre stato un progetto in continua evoluzione a livello di sonorità, sul quale hanno influito fortemente le persone che abbiamo incontrato, come l'ambiente di Savona e Genova e tutte le etichette che poi sono finite a produrre il disco. Fin'ora la maturazione è stata progressiva, ogni concerto ci lascia qualcosa e ci fa fare un passo in avanti. Nel 2011 abbiamo pubblicato 'Incipit', il nostro primo ep, e questo ci ha portato a suonare in giro con gruppi che apprezziamo e che in vario modo ci hanno incoraggiato ad andare avanti.

Quanto tempo avete impiegato a comporre e registrare i brani?
Lorenzo: “Fondamenta, Strutture, Argini” racchiude brani composti nell'arco di tempo che va da giugno 2011 (Oltre il rumore, La Falena) all'agosto 2012 (6:33, La difficoltà del volo) quando ci siamo recati presso lo STUDIOE RecordingLab di Genova per registrare sotto la guida di Emanuele Cioncoloni. Le idee erano chiare e sapevamo come volevamo far suonare il disco, per questo la fase di registrazione non ha richiesto troppo tempo. In circa un mese abbiamo ultimato le tracce, ma, nonostante questo, in studio abbiamo provato e trovato interessanti soluzioni che hanno particolareggiato alcune parti del CD.

Come avete scelto un titolo del genere? E' possibile parlare di concept?
Manuel: Volendo, sì. Io direi che il filo rosso che lega tutto il lavoro è una sorta di preoccupazione (parlando molto generalmente) nei confronti dello spazio, della gestione dello spazio. E intendo il termine gestione sia in senso ovviamente politico, ma anche in senso, direi, sentimentale. Ho sempre percepito legami profondi tra il concetto di geografia e il concetto di biografia. E in realtà si tratta di legami anche molto misteriosi, per me, forse persino inquietanti e che ho sempre faticato a decifrare. Davvero questa è una questione che mi tocca molto e da sempre, il disco degli Altri è per me semplicemente un tentativo tra i molti di formalizzare meglio la questione. Anche la scelta del titolo va considerata in questo senso. Si è trattato di dare corpo a sensazioni indistinte, quasi a visioni, che hanno preso forma durante la realizzazione del lavoro, ma anche intorno alla realizzazione del lavoro, i luoghi in cui è nato o in cui è stato pensato il disco, i posti in cui abbiamo suonato, gli spostamenti, le nostre macchine e così via. Dare un titolo è stato un po' come cercare, inutilmente, di fare un po' più luce su queste impressioni così ambigue che avevamo tutti. Ne uscito fuori ancora una volta qualcosa che ha a che fare con i luoghi in cui siamo stati e in cui ci siamo mossi, con le strutture metalliche che organizzano lo spazio, le impalcature e i palazzi vicino a dove abbiamo composto i pezzi e quelli di fronte allo studio di registrazione. In realtà emergevano a mano a mano fondamenta, strutture e argini anche all'interno dei pezzi stessi. Non saprei come dirlo meglio, ma è proprio questo il punto: non saprei come dirlo meglio.

Come puo' la musica o comunque l'arte in generale fornire suggerimenti per una rivalutazione degli spazi urbani?
Gabriele: La presenza di liriche forti su argomenti di questo tipo è dettata da necessità che prendono vita sia da un discorso politico che da sensazioni prettamente emotive. Facciamo parte di una generazione che ha un piede negli anni novanta e uno nel duemila e, conseguentemente, ci ritroviamo nel bel mezzo di quella che è stata la globalizzazione del nuovo millennio con tutti i pregi e tutti i difetti del caso. Questo significa che la cultura e il tipo di società che ci ha formato fa parte di un mondo che definire lontano è dire poco; è cambiato tutto molto in fretta e così come il progresso tecnologico e telematico ha portato grandi innovazioni che siamo riusciti a “cogliere al volo”, così questo ha portato a un mutamento di paradigmi che, avendo come motore propulsore la sfera economica e finanziaria, ha determinato cambiamenti radicali sotto ogni punto di vista. L’aspetto dell’urbanizzazione selvaggia è solo una delle conseguenze di questo sistema economico alla quale possono aggiungersi svariati disagi conseguiti in meno di un decennio; ovviamente vivendo una realtà come quella di Savona abbiamo avuto modo di percepire il mutamento degli spazi urbani in modo molto più drastico rispetto ad altri. I vari grattacieli, hotel di lusso e centri commerciali non devono essere condannati esclusivamente per l’aspetto estetico o il riciclaggio di denaro che sta dietro a queste operazioni; ciò che preme di più è come la definizione di questi nuovi spazi influisca sul modello di società che viene a crearsi, di come gli individui che fanno parte di una comunità vengano utilizzati come veri e propri strumenti per portare acqua al mulino dell’imprenditore di turno che ha costruito il grattacielo o il centro commerciale. E così vediamo come zone che un tempo erano veri e propri centri di aggregazione vengano smantellati totalmente e fisicamente trasferiti in zone ove c’è bisogno che la gente investa. Costruisci campi da basket sotto i nuovi complessi edilizi così che le famiglie siano indotte a comprare, costruisci tre centri commerciali utilizzando il ricatto occupazionale portando i laureati disoccupati a sperare di essere assunti da Mc Donald o da altre catene del tipo e tutto questo con il sorriso compiacente delle varie amministrazioni comunali e regionali. La beffa ulteriore sarà la chiusura di questi centri commerciali nel giro di un paio di anni, il conseguente disagio sociale portato dalla disoccupazione e la firma lasciata da queste imponenti costruzioni figlie di un sistema di sviluppo al collasso e di un paradigma economico che ha ben poco a che vedere con il futuro dell’umanità. Non si tratta di una rivalutazione degli spazi urbani, ma di un rivalutazione dell’essere umano inteso come individuo in una comunità urbana. “I palazzi nelle città sono colonne con niente sopra”, si devono ripensare le città in un’ottica diversa se non vogliamo essere inghiottiti dal nulla.

Siete appassionati di arte contemporanea?
Andrea A.: Non siamo appassionati di arte contemporanea nel senso accademico, non siamo frequentatori abituali del mondo dell’arte in generale. Siamo però sensibili a tematiche dell’arte contemporanea nel suo lato più performativo, ognuno in modo diverso e anche inconsciamente: questo incide certamente sul nostro modo di porci verso la composizione e verso il pubblico. Io credo ad esempio che la musica offra grandi spazi per la sperimentazione non solo sonora, ma anche visiva, seguendo la lezione delle forme di espressività musicale più avanguardistiche nel fenomeno “rock” degli ultimi trent’anni, come il noise e l’hardcore. Il lato performativo e pubblico della nostra musica è aperto all’innovazione e, perché no, al superamento della forma canzone negli arrangiamenti e alla lenta ma costante ricerca di suoni nuovi e atmosfere differenti. Si tratta qui anche di evitare la fossilizzazione sonora nei canoni estetici di genere e di “etichetta”, specie dal momento in cui con la musica si rivendica una libertà espressiva totale. Allo stesso modo, mi piace pensare che i nostri concerti siano diversi dallo stereotipo “punk”, e che ognuno di noi possa muoversi e comportarsi in libertà assoluta sopra o sotto il palco, imparando realmente dal punk la lezione di provocazione e libertà espressiva e non quella di rigidità ideologica ed estetica.

Come è nata la collaborazione con Roberto Ceruti degli Affranti?
Andrea N.: “Affranti” è un progetto che ci affascina molto perchè è nato e vissuto a Savona, spesso nell'ombra, per lo meno negli ultimi anni, portando avanti una filosofia/attitudine a noi molto cara. La collaborazione è nata fondamentalmente perchè ci siamo ritrovati in mano un pezzo con delle parti strumentali che ben si prestavano alla voce di Roberto, che ha accettato di aiutarci e ha scritto le sue parti del testo partendo dalle nostre idee. Da qui, la questione si è evoluta, infatti ora ci aiuta anche a livello di booking e distribuzione del disco, grazie alla rete di contatti e conoscenze che ha messo insieme negli anni con la sua “Salterò Autoproduzioni”.

Presentate l'album ai nostri lettori con un breve track by track....
Oltre Il Rumore: Intro cantata a due voci che sfocia in un riff scuro e pesante, opener d'impatto con sonorità post-metal.
Il Mio Solo Spazio Possibile: Pezzo hardcore molto dinamico con frequenti cambi di tempo e alternanze pulito/distorto, forse il più legato allo screamo tradizionale. Testo introspettivo scritto in parte da Roberto Ceruti e in parte da noi.
All'Orizzonte: Da un groove distorto di basso e batteria si sviluppa un pezzo potente , che nel finale si apre a melodie e atmosfere più dilatate e sognanti. Testo che parla del nostro territorio e delle sue contraddizioni.
06:33: Intermezzo strumentale di matrice post-rock, suoni puliti con violino in primo piano che aggiunge colore al tutto. Primo esperimento su sonorità del genere, in futuro ci piacerebbe sviluppare ulteriormente questo lato melodico.
La Difficoltà del Volo: Altro pezzo fondato sul dinamismo degli arrangiamenti, da una prima parte che alterna arpeggi puliti ed esplosioni cantate a due voci si passa ad un finale strumentale più noise e visionario.
Istanbul: Lunga strumentale incentrata su una melodia di basso distorto. Ripetuti crescendo portano ad esplosioni ed implosioni sonore, lasciando spazio anche per chitarre acustiche e groove quasi trip-hop. Qui ogni strumento cerca di reinventarsi continuamente con il procedere del brano e la versione live vede un'interpretazione ogni volta diversa.
Cera: Unico brano del primo ep riproposto e riarrangiato con più attenzione alle dinamiche generali. Quasi interamente strumentale, presenta sia parti pulite che parti distorte, per giungere ad un finale molto emotivo, al limite dello shoegaze.
La Falena: Una sezione ritmica cadenzata unita e chitarre e violini molto rumorosi fungono da tappeto sonoro per un testo recitato. La traccia si conclude con un progressivo rallentamento che chiude il disco in un delirio finale di violino e sintetizzatore.

Cosa vi affascina in particolare di Istanbul?
Manuel: Sono stato ad Istanbul qualche tempo fa. Non ero da solo, ma è stato come se lo fossi, non ho praticamente ricordi di me con altre persone. Quando mi trovo da qualche parte, tendenzialmente non sono uno che si affascina, che cerca qualcosa o che si aspetta qualcosa, che osserva, che fa foto o scrive appunti. Mi limito a constatare quello che vedo, e che io sono lì. Istanbul è una città il cui carico di storia è quasi proverbiale ed a me è apparsa come una città senza storia, viva e neutra (non neutrale), sulla quale gravano, sì, le sue vicissitudini, ma come di nascosto. Ricordo in particolare una sera passata a cercare un negozio di tappezzerie in un quartiere di uffici deserto, vicino al mare.

Alcuni passaggi sono legati alla tradizione punk italiana. Oltre ai Negazione quali sono i gruppi che hanno veramente lasciato il segno secondo voi?
Gabriele: Il punk è sempre stato un forte punto di riferimento, sia da un punto di vista musicale che di mentalità. L’attitudine e l' “etica” della scena hardcore sono stati uno stimolo continuo che ci ha sempre spinto a intraprendere strade volte all’autoproduzione e al dialogo fra le scene e le realtà più disparate. Oltre ai Negazione abbiamo avuto modo di scoprire ed apprezzare gruppi come Kina, Nerorgasmo,CCCP, Impact, CGB, Kafka, 5° Braccio. Detto questo ognuno ascolta roba diversa per cui c’è chi è stato maggiormente investito da questo genere musicale e chi ha avuto modo di maturare ascoltando generi diversi; personalmente, suonando con Andrea N. in un gruppo Punk (5MDR), abbiamo sempre “respirato” quello che è l’ambiente punk e hardcore e ovviamente quelle influenze hanno giocato un ruolo importante anche all’interno de Gli Altri.

Quanto è stato importante 'Incipit' per focalizzare il vostro stile?
Andrea N.: Con il primo ep ci siamo trovati ad aggiungere il violino a musiche e testi già composti, per cui si è trattato di un lavoro assolutamente embrionale e seminale, mentre FSA è venuto fuori da un processo compositivo di sedimentazione avvenuto in saletta tutti insieme. Incipit è stata, appunto, un'introduzione nelle quale si sentono forti influenze punk hardcore e noise, che sono rimaste anche nel lavoro successivo, ma che sono state utilizzate con più maturità, ed unite a suoni più puliti e dilatati, arrivando ad un ibrido in continua evoluzione. Incipit ci ha anche allontanato ancora di più dalla forma-canzone, che in futuro probabilmente scomparirà del tutto, a favore di un arrangiamento più personale che privilegerà una musica molto dinamica ed emotiva al tempo stesso. In sostanza, anche questo nuovo disco getta le fondamenta per un prossimo livello di composizione, che non sappiamo ancora cosa comprenderà e cosa lascerà fuori, ma che in ogni caso porterà ad un'ulteriore cambiamento nel sound generale.

A livello di produzione vi siete ispirati a qualche album in particolare?
Andrea N.: Il suono finale che abbiamo ottenuto è il risultato di una serie di scelte ed influenze nostre e di chi ci ha aiutato nel lavoro. Ad esempio, gruppi come La Quiete e Violent Breakfast ci hanno fatto apprezzare le voci mixate basse, ben mescolate alle chitarre, mentre la sezione ritmica, soprattutto la batteria, risente molto di suoni più anni 90. In ogni caso, il discorso generale di produzione è particolarmente complesso per il nostro gruppo, infatti spesso risulta difficile bilanciare bene suoni e volumi di tre o quattro strumenti distorti contemporaneamente che magari suonano tutti melodie portanti che devono uscire ed essere ascoltate. Anche se abbiamo ancora molto lavoro da fare per quanto riguarda la scelta del singolo suono e l'arrangiamento, siamo molto soddisfatti di come suona questo disco rispetto al primo EP.

Chi si è occupato dell'artwork?
Andrea N.: Le immagini che abbiamo inserito nel progetto grafico vengono da ambienti diversi, da Istanbul alla riviera ligure, ma trovano un senso comune grazie alle tinte e ai filtri particolari che sono state utilizzate. L'artwork è stato curato completamente da Emanuele Cioncoloni, che quindi ha seguito il disco da tutti i punti di vista, dalla registrazione alla grafica. Lui stesso ha scattato anche la foto della falena in copertina, che gli si è presentata davanti proprio nei giorni delle nostre registrazioni.

Quali sono i vostri piani adesso?
Andrea N.: Abbiamo già iniziato a scrivere roba nuova, bozze che magari verranno cestinate da qui a breve, ma che ci aiuteranno a capire quale strade dovrà intraprendere questo gruppo. In generale, ora l'obiettivo principale è suonare il più possibile live sia in Italia che all'estero per farci conoscere e maturare ancora, e magari registrare un nuovo ep tra non troppo tempo.