Un album come questo non può che essere intriso di tristezza. Magari non necessariamente brutto o scandaloso ma inevitabilmente incapace di riscrivere un passato così lontano e dai connotati totalmente differenti. David Johansen e Sylvain Mizrahi ce l’hanno messa tutta (a partire dall’ironia del titolo) per non cadere nella critica più becera a trentadue anni dal secondo e ultimo capitolo in studio della storia dei New York Dolls e soprattutto dopo la scomparsa di tre/quinti del gruppo. Chi ama il rock n’ roll venato di punk e sfacciataggine lascerà qualche lacrima tra questi solchi overprodotti pensando al passato che non c’è più. La tristezza dapprima chiamata in causa sta proprio nella forzatura di certe situazioni (la terribile ‘Dance Like A Monkey’ che riprende il giro di ‘Lust For Life’) e nel volerle renderle patinate e scorrevoli come ci trovassimo in un Virgin Megastore e non in un sudicio pub della Grande Mela con due tavoli e la gente ammassata in piedi addosso ad un palco costruito con tavolacce di legno. Quello erano i New York Dolls. Lasciate in pace i fantasmi.