L’indie rock venato di psichedelia dei Dead Man’s Eyes è arrivato lontano se è vero che la band tedesca ha diviso il palco con formazioni del calibro di Black Mountain, The Datsuns, Band Of Skulls e Tame Impala. Adesso, a cinque anni dall’esordio discografico, ‘Words Of Prey’ è un secondo lavoro in studio, impreziosito dall’artwork di Bennett Evergreen, di grande sostanza e un’affermazione stilistica importante per una realtà sonora sperimentale che, almeno inizialmente, non aveva mostrato troppe pretese. Il successore di ‘Meet Me In The Desert’ è invece un album ambizioso e strutturato nei dettagli con pezzi più immediati (‘Dive’ e ‘Be Good’) che si alternano a divagazioni progressive ed esercizi di stile che sfociano addirittura nel jazz e nel post rock (‘This Old Place’ e ‘Two Dozen Eyes’). ‘Fire Of My Own’ chiude una scaletta organica e avvincente. La speranza è che ‘Words Of Prey’ possa ottenere quel riscontro mediatico e critico tale da permettere ai musicisti in questione - tra cui Nima Davari che si è occupato anche delle registrazioni e del mixaggio e Simon Mead, autore dei testi - un’esposizione ragguardevole e di riflesso un’attività live consistente. Senza di quella sarà dura proiettarsi al di fuori dei propri confini ma le basi ci sono sicuramente.