Quando acquistiamo un disco, merce sempre più rara, oppure ascoltiamo qualche canzone in rete, capita spesso di soffermarsi su artisti stranieri e questo per un motivo principale ovvero che in Italia la cultura musicale è plagiata da persone più o meno giovani. Alcune sono convinte che un reality possa determinare chi ha talento oppure no o, ancora peggio, che il giudizio del pubblico debba anticipare la pubblicazione di un disco, come se vendere fosse l’unico obiettivo. Altre sono addirittura legate alla politica che ha sempre dominato il festival al cui volere si sono piegati per decine di anni cantautori impegnati, finti rocker e cantanti che senza spinte non avrebbero registrato nemmeno uno spot pubblicitario. Una premessa un po' dura ma onesta che ritengo necessario al cospetto di uno dei migliori album italiani usciti nel decennio, un album che vede Sarah Stride spiccare il volo e liberarsi nell’aria, nella sua bellezza incontaminata, incurante di stili, generi, giudizi dall’alto e pregiudizi dal basso. Un album che lancia definitivamente l’artista milanese nel limbo di quelle creature speciali che si fanno fatica a descrivere e spesso si sbaglia a catalogare. ‘Prima Che Gli Assassini’ riparte dai pezzi di ‘Schianto’ e vi aggiunge un omaggio a Franco Battiato (‘La Torre’) e sei inediti tra cui un singolo spaziale come 'I Pensieri Assassini' e la stupenda ‘Divagare’. Al fianco di Sarah Stride troviamo Kole Laca (Teatro Degli Orrori), Manuele Fusaroli (Ginevra Di Marco) e Alberto Turra (di recente nei negozi con ‘Filmworks’) oltre a Simona Angioni che assieme a lei ha scritto le liriche. Scorrendo la scaletta si percepiscono la smodata eleganza con cui la cantante dispone a proprio piacimento del suo timbro unico e una forte spiritualità, già presente nel mini ma adesso ancora più accentuata. Le immagini del video di ‘Il Figlio Di Giove’ tornano come coltellate e di colpo la purezza pop di alcuni passaggi (bianchi come il latte) diviene aggressività industriale, tribale, denuncia sociale (‘Le Catene Corte’). I suoni ricordano quelli del trip hop anni ‘90 (Massive Attack, Lamb), l’atmosfera a tratti è gelida come se si trattasse di un album darkwave ma, pure quando il contenuto si fa oscuro e nevrotico, l’impressione è che ci sia sempre un potere più forte pronto a salvarci. Altri momenti chiave sono ‘L’Uomo D’Oro’, l’arrangiamento più ispirato con archi dal sapore nordico, e ‘Un Esercito’, un capolavoro in cui la voce diviene strumento per trasportare in un’altra dimensione. Riprendendo la considerazione iniziale, non credo che un disco possa cambiare le cose. Anzi ne sono sicuro, ma ciò non esclude il fatto che più persone possibili possano godere di tanta classe e sentirsi meglio dentro, come quando si legge una poesia immortale o si rimane incantati di fronte ad un quadro capace di confondere i sensi.