Il clamore suscitato dalla loro partecipazione alle finali dell’Eurovision Song Contest a Tel Aviv ha reso celebri gli islandesi anche fuori dai loro confini ma chi li conosce fin dagli albori del progetto, quando Einar Stefánsson dei Vök lavorava a qualche demo nel suo studio personale, sa bene cosa significhi essere un fan degli Hatari. Quello che è accaduto nelle ultime edizioni di Iceland Airwaves è già storia ed il presente debutto, da ascoltare a volumi insani, non fa altro che amplificare un messaggio che il trio techno-industrial-punk sta diffondendo in maniera capillare abusando, ogni volta possibile, della nostra materia cerebrale afflitta dai social. Ciò che si è venuto a creare nel gelo di Reykjavík è qualcosa che va oltre la musica o l’arte in genere. Riguarda la politica e la lotta efferata contro ogni forma di capitalismo, il BDSM e la cultura cyberpunk, la danza e l’uso di maschere più o meno reali in una società effimera e consumistica fino all’esasperazione. Dal vivo gli Hatari sono eccezionali e non temono confronti con nessuno. Sono più pop delle veline, che passano in televisione e devono spogliarsi per attirare il pubblico, e più intransigenti di qualunque band metal (14 Ár). Hanno saputo tradurre la marzialità dei Rammstein in elettronica di facile assorbimento e richiamare l’urgenza delle prime formazioni Neue Deutsche Welle e EBM. Allo stesso tempo sommano i ritornelli lascivi di Klemens Hannigan alle invettive estreme e filtrate di Matthías Tryggvason. Einar picchia forte sulla batteria elettronica e fissa tutti da dietro. Nei suoi occhi c’è la determinazione di arrivare lontano. Ai lati del palco Sólbjört Sigurðardóttir e Ástrós Guðjónsdóttir ballano senza sosta a ritmi insostenibili per chiunque, sfoggiando tutine che nascondono ben poco e sembrano provenire da Tokyo Decadence di Ryu Murakami. Dopo lo sconvolgente mini 'Neysluvara' e una serie di singoli e video da capogiro, giunge nei negozi l’opera prima su lunga distanza che annuncia una trasformazione in atto. In 'Neyslutrans’ troverete le spaventose 'Spillingardans’' 'Klámstrákur' e 'Ógleði', che erano state promosse nei mesi scorsi. Sarebbero sufficienti per decretare gli Hatari come rivelazione assoluta del momento ma gli Hatari sono molto di più. Verso metà album l’impatto con ‘Hatrið Mun Sigra’ è semplicemente devastante e subito la memoria vola alla censura della televisione israeliana, alla bandiera della Palestina ed alle luci calate all’improvviso sull’esibizione degli islandesi. A proposito di Palestina, in scaletta spicca pure ‘Klefi’, ritornello a metà tra arabo e islandese con la partecipazione di Bashar Murad mentre in ‘Helvíti’ appare Svarti Laxness e nella conclusiva 'Niðurlút' la promessa del pop GDRN, autrice del bellissimo ‘Hvað Ef’. Entrate nel loro mondo a vostro rischio e pericolo.