Nei mesi scorsi ho avuto modo di intervistare D. Randall Blythe e, nonostante il lockdown e lo spostamento della data di uscita dell’album, l’ho trovato sereno e determinato, critico come sempre nei confronti della società e della politica. Nelle sue parole ho riscontrato una convinzione feroce sul valore di questo materiale e, dopo tanti anni di carriera e vicissitudini niente male, credo che questo sia un aspetto non trascurabile. Per riprendersi dallo shock e dalle notevoli perdite economiche derivate dall’arresto e dalla detenzione del frontman in Repubblica Ceca, gli autori di ‘Ashes Of The Wake’ hanno impiegato diversi anni e ‘Sturm Und Drang’ li ha visti tornare nei negozi con un rancore ed un nervosismo senza precedenti. Dietro l’angolo c’erano però altri problemi; dopo una parentesi nei Megadeth ed un brutto incidente in moto, il batterista Chris Adler ha lasciato la band e ciò ha comportato un altro periodo nero. Ciò non ha però influito minimamente sul processo di ‘Lamb Of God’ che è stato sostanzialmente caratterizzato da due fasi perché le lavorazioni si sono svolte prima e dopo il tour di addio degli Slayer. Dietro le pelli è stato assunto Art Cruz, in passato attivo con Winds Of Plague e Prong, ed i chitarristi Mark Morton e Willie Adler si sono presi il tempo necessario per scrivere una montagna di riff ed omaggiare masterpiece quali ‘As The Palaces Burn’ e ‘Ashes Of The Wake’ senza smarrire quanto ottenuto col precedente ‘VII: Sturm und Drang’. Un bell’orologio in copertina segna l’inizio di una nuova era per il gruppo groove metal statunitense che di recente ha riportato in vita i Burn The Priest, con l’intrigante ‘Legion: XX’. Un impianto sonoro imponente, ricco di influenze thrash-death ed ammiccamenti metalcore, che D. Randall Blythe può ancora una volta sfruttare al meglio per scaraventare sull’ascoltatore liriche politiche, odio e rancore in quantità esagerata. Tra gli ospiti troviamo due nomi illustri come Jamey Jasta degli Hatebreed (‘Poison Dream’) e Chuck Billy dei Testament (capo tribù in ‘Routes’) ma i Lamb Of God sono ormai una band classica, anche grazie al filo conduttore con i Pantera, che non ha necessità di grandi proclami e si permette di denunciare lo schifo che c’è nel mondo con il materiale più vario di sempre e dinamiche curate nei dettagli. ‘Mememto Mori’ e ‘Reality Bath’ sono le tracce che ho ascoltato di più ma l’album cresce di ascolto in ascolto ed i fan non potranno che apprezzare anche le più prevedibili ‘Checkmate’ e ‘New Colossal Hate’. La speranza è quella di vederli dal vivo il prima possibile perché questo materiale merita di essere espanso e consumato sui palchi di tutto il mondo.