Gilby Clarke è noto al mondo del rock per aver sostituito nei Guns ‘ N’ Roses, subito dopo la pubblicazione del monumentale “Use Of Illusion 1-2”, quella che era la vera mente della band, ovvero Izzy Stradlin,. Tutto questo gli è chiaramente valso lo status di rockstar a tempo pieno e indeterminato, tanto che negli anni a seguire la fama acquisita gli ha consentito di vivere di rendita, grazie anche a un conto in banca ingranditosi a dismisura. Dopo tanti anni di oblio, il chitarrista ha deciso di ritornare sulle scene con “The Gospel Truth” che è una sorta di bignami delle influenze di Clarke. Il lavoro suona decisamente rock n’ roll, ma su questo vi era poco da dubitare sin dalla vigilia. La natura stradaiola del disco e le influenze troppo evidenti, in alcuni casi, dei padri Rolling Stones e dei sottovalutati Hanoi Rocks pervadono le dieci canzoni presenti in questo album che viaggia sempre senza sussulti ed in modo uguale per tutta la sua durata. Per essere chiari possiamo prendere come esempio due brani che sono esemplificativi in tal senso. “Rock n’ Roll Is Getting Louder” è un omaggio sin troppo palese alla band di Mick Jagger, mentre la title track risulta essere un vero e proprio inedito dei Rocks. Essendo un personaggio dello star system, Clarke non si è fatto mancare gli ospiti illustri come Nikki Sixx e Stephen Perkins (coppia ritmica dei sogni), presenti in “Tightwad” che, però, appare una canzone di poco mordente e, in un certo senso, deludente viste le forze schierate sul campo. E i Guns? Qualcosa, chiaramente, è rimasto nel bagaglio del chitarrista che prova a omaggiare la sua ex band con “Wise Old Timer”, pastrocchio vero, dal momento che la voce ricorda fortemente quella di Ace Frehley, tanto per rimanere nel campo delle influenze pesanti che si percepiscono in questo disco. “Violation” rimanda a quelle sonorità live che andavano tanto nei locali di Los Angeles a metà anni ottanta, a differenza di “The Ending” in cui è la linea di basso a fare da traino a tutto l’apparato messo su dal musicista americano. In questa marmellata di influenze, il lavoro scorre via sino al termine senza regalare sussulti a chi lo ascolta. In pratica ci si trova dinnanzi a soluzioni abbastanza scontate che non danno a questo full length un valore elevato. Anzi, a essere sinceri, questo ritorno sulle scene di Clarke può essere ritenuto senza infamia e senza lode, in quanto non contiene picchi creativi, così come, altresì, non possiede scadimenti eccessivi che non ne invoglierebbero l’acquisto. Come si dice in questi casi, solo per fan incalliti.