Suonare alternative rock in Scandinavia non deve essere troppo semplice vista la passione per garage rock e metal che si è diffusa ormai da decenni in quelle terre. Il gruppo fondato dal cantante Ludvig Turner e dal batterista Marcus Johansson ci riesce piuttosto bene e con questo terzo full lenght dimostra di avere raggiunto una maturità compositiva tale da meritare un’esposizione maggiore al di fuori dei propri confini. La componente progressive è aumentata – evidentemente i quattro hanno ascoltato gli Horisont oltre a farsi remixare da Zardonic – e nel complesso il nuovo materiale sembra più compatto e pensato per una trasposizione live completa. È infatti difficile individuare due o tre tracce più incisive delle altre anche se l’epicità di ‘The Law’ e ‘Motherland’ colpisce al primo ascolto. In fase promozionale i Reach hanno ammesso di essere usciti leggermente dalla loro comfort zone (‘New Frontier’ e ‘The Seventh Seal’) e quindi sarà curioso capire come si evolveranno le cose in futuro. Quando l’album finisce appare chiaro che i tre anni impiegati per completare il lavoro siano stati spesi bene e nonostante una certa derivazione sia innegabile, non si ha mai la sensazione che sia stata usata la carta carbone.