Il loro industrial metal ha fatto scuola grazie ad un video più azzeccato dell’altro, performance dal vivo impeccabili e operazioni di marketing da capogiro. Adesso i Rammstein sono più un brand di merchandising che un’entità sonora chiamata ad evolversi. Nonostante una formula ormai scontata, i tedeschi sanno sempre come intrattenere i milioni di fan sparsi in tutto il mondo e anche stavolta, a dispetto dei problemi personali avuti dai membri, hanno dato alla luce un album ricco di ritornelli accattivanti, dinamiche epiche e invettive elettroniche in grado di avvicinare più generazioni (‘Armee Der Tristen’). Non tutto scorre liscio, per esempio ‘Zick Zack’ è una stanca rielaborazione di vecchie idee e l’arrangiamento della title track risulta già sentito, a dispetto dello stupendo remix a cura di Ólafur Arnalds, ma sono tante anche le sorprese, come le tastiere ebm di ‘Giftig’ o lo spirito libero di ‘Lügen’. Assieme al produttore Olsen Involtini, già coinvolto tre anni fa per l’omonimo settimo lavoro in studio, si sono chiusi ai La Fabrique Studios di St. Rèmy de Provence e, lontano dalle pressioni e dal fragore di Berlino, hanno completato un altro capitolo di una storia che sembra costantemente sul punto di concludersi e che invece li vede ancora protagonisti a livelli elevati. Un capitolo a parte lo merita ‘Dicke Titten’, col suo testo spassoso che costringerà un po’ tutti ad una nuova immersione nell’immaginario perverso di ‘Pussy’ e darà modo a Till Lindemann di girare altri video porno o immettere sul mercato dildi di strane forme o strapon per lunghe sessioni di pegging, come nelle migliori case di sadomaso d’alto bordo. Il frontman recita il ruolo dell’orco e riesce a trascinare l’ascoltatore verso vette melodiche trionfali (‘Meine Tränen’), tra solenni accordi di pianoforte (‘Schwarz’) e riff facilmente memorizzabili. Non certo un capolavoro, i tempi di ‘Mutter’ e ‘Liebe ist für alle da’ forse non torneranno più, ma un disco che conferma lo status di culto di una formazione che, dalle sessioni di ‘Herzeleid’ alla partecipazione al Family Values di spalla ai Korn, ha scalato le più ardue montagne e imposto la Neue Deutsche Härte anche laddove l’idioma germanico non aveva mai lasciato alcun segno. Se la scena industrial di oggi, che piaccia o meno è un altro discorso, ha assunto determinate caratteristiche lo si deve in larga parte agli autori di ‘Sehnsucht’ e alla strabordante capacità intimidatoria dei loro singoli. Per certi versi possiamo considerare ‘Zeit’ un ritorno alle origini e non a caso Bryan Adams, musicista e fotografo canadese che non avremmo mai creduto potesse collaborare col gruppo che prese il nome dalla Ramstein Air Base, teatro di un grave incidente aereo a fine anni ottanta, ha scattato l’immagine di copertina sui gradini del Trudelturm, un imponente monumento dedicato alla ricerca nel parco aerodinamico della città del muro. Un giorno, studiare il loro percorso trasversale nell’industria musicale sarà di grande interesse. Per il momento auguriamoci che non sia finita qui e che il tour promozionale di ‘Zeit’ sia strepitoso come i precedenti.