Nell’oscurità sono stati costretti a riprendere la loro ricerca musicale. Così Win Butler e sua moglie Régine Chassagne - in verità più dei pittori che dei musicisti per la capacità di tratteggiare nelle loro canzoni una serie di immagini in apparente contrasto tra loro e verniciare i fondali sonori con tinte sempre diverse – hanno trovato la luce ed il loro è un ritorno trionfale. A cinque anni di distanza da ‘Everything Now’, i canadesi hanno immesso sul mercato il loro lavoro in studio più elaborato e complesso, registrato in molteplici location – da New Orleans a El Paso, passando per Mount Desert Island - e ispirato sia dalle forze che costringono le persone che si amano ad allontanarsi sia dalle opportunità di crearsi un futuro totalmente nuovo. Lo spunto per il titolo è stato preso dall’omonimo racconto distopico di Yevgeny Zamyatin, il disco è stato prodotto da Nigel Godrich (Radiohead, Roger Waters), capace di infiammare i continui crescendo melodici, e viene promosso con la terrificante immagine di un occhio umano, a metà tra suggestioni di Kubrick ed i buchi neri al centro della Via Lattea, impreziosita dalla colorazione aerografata di Terry Pastor (David Bowie). Il lockdown ha complicato non poco il processo e esasperato Will Butler, che dopo le registrazioni ha preferito mollare per non dovere ripartire in tour e potere dedicarsi a quello che più ama, ma ha anche permesso una focalizzazione estrema sul materiale, tanto che la band ha trovato il tempo per realizzare una suite strumentale di quarantacinque minuti, ‘Memories of the Age of Anxiety’, per una applicazione di meditazione. La scaletta è un susseguirsi di emozioni, come dal vivo del resto, con le due parti di ‘Age Of Anxiety’ che esaltano e rilassano, rappresentando l’introduzione perfetta per ‘End The Empire’, suite in quattro movimenti che descrive in maniera raggelante un’America impoverita e quanto mai lontana dal sogno raccontato da piccoli. ‘The Lightning II’ è il singolo che servirà per richiamare a raccolta i vecchi fan mentre ‘Unconditional II (Race and Religion’ vede la presenza di Peter Gabriel, per la configurazione di una mappa genealogica e sociale che riporta alla memoria ‘The Wall’ dei Pink Floyd, e sfonda definitivamente qualsiasi barriera indie rock rimasta. L’elettronica è tantissima, ma ciò non impedisce all’ascoltatore di godere di suoni organici come il tocco delle dita sul pianoforte (‘Rabbit Hole’) o le corde della chitarra che vibrano (‘Lookout Kid’). Non solo gli Arcade Fire hanno realizzato un altro capolavoro assoluto, ma ci hanno ricordato quanto sia avvincente ascoltare un album dall’inizio alla fine.