Un’artista imprevedibile, produttrice e creatrice di contenuti multimediali, che affonda le proprie radici sia nella cultura giapponese che in quella taiwanese e all’età di sei anni si è trasferita in Australia, dove è diventata un simbolo del #METOO e della battaglia politica e mediatica contro le molestie sessuali nei confronti delle donne (‘Not Yours’ e ‘Man Made Monster’). Deena Lynch, due album con il suo vero nome, si è trasformata nel suo alter ego e il “bunny mode” rappresenta per lei una sorta di Ziggy Stardust dei giorni nostri. Nella sua musica troviamo dal pop all’elettronica, dall’industrial noise al punk ed i suoi video trasmettono un senso di fragilità robotico, una vulnerabilità che improvvisamente diviene energia e potenza digitale. I due EP ‘Diamonds & Liquid Gold’ e ‘Antihero’ sono serviti per definire nei minimi dettagli una produzione – a cui ha contribuito il bassista e tastierista Aidan Hogg - che segna un’evoluzione significativa rispetto al passato. Singoli come ‘I Know My Name’ e ‘Who Died And Made You King?’ danno la misura del potenziale cinematico-virale di un personaggio la cui attitudine è decisamente rock anche quando i suoni si fanno plastificati ed i beat minimali. In questo potrebbe ricordare colleghe come Madame Gandhi, Tove Lo o Azure Ryder, ma è talmente elevato il tasso di originalità della proposta che stilare paragoni risulta un controsenso. Stupenda ‘Little Fires’, che mi ha fatto inevitabilmente pensare al film di culto di Peter Del Monte, con una giovanissima e bellissima Valeria Golino come protagonista, mentre i video di ‘Punchline’ e ‘Trigger Happy’ puntano con decisione al mercato americano e potrebbero sul serio lanciarla in orbita.