Per il suo terzo album, l’artista australiana sfodera un’immagine a metà tra quelle di Gwyn Strange dei Frayle e di Orville Peck mentre a livello sonoro le novità sono limitate. La scaletta si basa su un pop che ogni tanto si accende e fa largo uso di elettronica. La varietà degli arrangiamenti, un po’ come successo con ‘Suckerpunch’ di Maggie Lindemann e ‘Dirt Femme’ di Tove Lo, permette di indicare ‘Broken Hearts’ come il lavoro più completo della Payne, adulto mi sembra una forzatura, che ha cercato di sviluppare il proprio stile senza perdere il contatto stretto con i propri fan. Vivendo un’era in cui i fenomeni mediatici non hanno bisogno di formati fisici per raggiungere gli obiettivi che si sono posti, appare curioso vedere che ‘Broken Hearts’ è stato compilato come un album vero e non come una semplice raccolta di singoli. Un punto a favore per Aviva, che mette subito le cose in chiaro con ‘The Saint And The Sinner’. Di sicuro non pensavamo che fosse una santa, ma ‘Children In The Dark’, ‘The Outside’ e ‘Oblivion’ svelano un lato della sua personalità che probabilmente non tutti conoscevano. Un altro pezzo molto personale è stato posto in chiusura (‘Love War’) e di fatto mette da parte l’era di ‘GRRRLS’ e cerca di inaugurarne una nuova. La speranza è che il materiale venga trasportato dal vivo sulla falsa riga della versione di ‘Wicked (Live from Underground)’, filmata da Billy Zammit e Bradley Murnane, con le chitarre in maggiore rilievo.