Il capolavoro dei Depeche Mode è essere vivi, anche se tale affermazione potrà apparire macabra a nemmeno un anno dalla tragica scomparsa di Andy Fletcher. Essere vivi non significa soltanto essere ancora attivi e pubblicare album; significa trasmettere ancora emozioni e soprattutto provarle quando si sale su un palco e si divide quello spazio speciale con un altro individuo che forse non è più il tuo migliore amico, ma non per questo è meno importante. I Depeche Mode ci ricordano che dobbiamo morire, eppure sono ancora vivi e il successore di ‘Spirit’ è il loro album migliore dai tempi di ‘Ultra’ e farà bene a tante persone. Inutile fare paragoni, anche soltanto pensare di farlo, ma queste canzoni spettrali lasciano cicatrici sulla pelle. Lividi veri. Il primo singolo estratto da ‘Memento Mori’, ‘Ghosts Again’, aveva trafitto al cuore milioni di fan (“Wasted feelings, broken meanings, time is fleeting, see what it brings..”) e la scaletta è tutta sul medesimo tenore qualitativo con passaggi di elettronica sublime, tentazioni techno, citazioni rock (l’omaggio di ‘Wagging Tongue’ a Mark Lanegan) e post-punk (l’incedere diabolico di ‘Never Let Me Go’ che riporta alla mente le pellicole di Alan Parker). Una fluidità di linguaggio notevole, a dispetto di altre pubblicazioni in cui si era dato più spazio a beat pulsanti e introspezione, ma c’è spazio pure per la brutalità del testo di ‘Caroline’s Monkey’ (“Folding’s better than losing, fixing’s better than healing..”), spoglie riflessioni su un passato che non tornerà più e quei sontuosi blues neri come la pece che vedono Dave Gahan misurarsi su livelli impensabili per chiunque. La sua voce è patrimonio dell’umanità e si accompagna alla perfezione ad un disco che vuole essere di rottura, un po’ come furono ‘Some Great Reward’ o ‘Songs Of Faith And Devotion’ in epoche differenti. Non deve sorprendere la presenza di Richard Butler, cantante dei Psychedelic Furs, e amico di vecchia data di Martin Gore. Andrebbe invece fatto rumore sul coinvolgimento di Marta Salogni (Bon Iver, Animal Collective), che ha messo mano a ‘Speak To Me’ e mixato l’intero lavoro in accordo col produttore James Ford (Shame, Arctic Monkeys). Il suo è un lavoro immenso e decisamente innovativo se consideriamo le ultime release della band. Fa parte dei cervelli italiani che abbiamo all’estero, un peccato lo so, e credo sia un’eccellente scusa per andare a scoprire dove ha cosparso il proprio talento negli ultimi anni. Martin Gore si spinge a vette espressive altissime in ‘My Cosmos Is Mine’ e ‘Soul With Me’, alcuni momenti sembrano richiamare ‘Exciter’, ma con una veste a lutto a ricoprire il tutto, mentre ‘My Favourite Stranger’ e ‘People Are Good’ sono destinate a risplendere nelle prossime setlist. Preziose anche ‘Don’t Say You Love Me’, una dichiarazione d’amore distorta nella quale in tanti potranno identificarsi, e ‘Always You’, che ci riporta diritti all’esperienza sonora di ‘Delta Machine’. Pura poesia, ma sinceramente non mi sarei aspettato niente di meno.