Per Wolfgang Van Halen bisogna nutrire un forte rispetto, a prescindere dai gusti e dalle preferenze. Un ragazzo dotato di grandissimo talento come lui è e sarà sempre sottoposto a tantissimi paragoni con l’immenso papà dal quale ha preso tutto l’amore possibile per la musica. Wolfgang, però, ha sempre avuto le spalle grandi e si è immediatamente distaccato, da un punto di vista artistico, da tutto ciò che potesse ricondurre ai Van Halen. Non avrebbe avuto alcun senso riproporre un discorso musicale simile a quello fatto dal quartetto di Pasadena, perché impossibile da replicare e perché anacronistico sotto tanti punti di vista. Wolfgang, essendo un figlio dei tempi che stiamo vivendo, suona una musica che prende a piene mani dall’alternative metal, molto simile a quella proposta da gente come gli Alter Bridge e Tremonti (di quest’ultimo è stato anche il bassista). Dunque, il campo di azione è assolutamente diverso. “Mammoth II” continua nel solco tracciato con l’ottimo esordio di qualche anno fa, mettendo a disposizione dell’ascoltatore chitarre possenti, ritmi serrati (vedi la spettacolare “Another Celebration At The End Of The World”) e melodie in sede di ritornello che spaccano come non mai (I’m Alright”). Probabilmente rispetto al recente passato c’è meno immediatezza e più ricerca del particolare da dover risentire e sentire nuovamente per essere capito (“Like A Pastime”). Le ballate, questa volta, scarseggiano, anche se poi quando arrivano non possono lasciare indifferenti (“Waiting”), visto il gusto che l’autore ha per le armonie ariose e per le melodie che non devono mai mancare, così come sarebbe piaciuto a papà Eddie e a zio Alex. Le chitarre, come scritto in precedenza, pagano dazio a Tremonti soprattutto per l’approccio, anche se qua e la ci sono degli assoli che fanno capire che il buon sangue non mente. “Take A Bow”, tra le tante, spicca per la sua contrapposizione tra una parte iniziale lenta ed un’esplosione in fase di coro che non può lasciare inermi. La bontà nello scrivere pezzi che possano essere ricordati nel tempo viene fuori con la conclusiva e malinconica “Better Than You” e con “Optimist” che hanno tutto per diventare dei piccoli classici dei Mammoth WVH. Insomma, il musicista c’è e lo si sapeva, è bravo e anche su questo non c’erano mai stati dubbi. Tutto normale all’apparenza se si parla di un membro della famiglia Van Halen, ma estremamente difficile per chi non porta un cognome così prestigioso.