I brasiliani possono vantare un’esperienza ed un seguito che li mette al riparo da qualsiasi errore dal punto di vista discografico. Il momento non è comunque dei più facili, neppure per loro, e sapevano bene di non potere sbagliare questo disco. Nonostante tutto ci sono però arrivati con la leggerezza degli esordi, con quell’entusiasmo creativo che non percepivamo da tempo. In parte ciò è dovuto anche a Fabio Lione, che con la sua classe ha permesso a Rafael Bittencourt di risolvere al meglio la questione legata al cantante e di non porsi alcun limite in termini compositivi. La line-up è completata dal secondo chitarrista Marcelo Barbosa, dal bassista Felipe Andreoli e dal fenomenale drummer Bruno Valverde, apprezzato in tour pure con i Sepultura, e la produzione di stampo moderno, con agganci a ‘Ømni’ ma anche divagazioni in ambito prog rock (‘Here In The Now’ omaggia il maestro Steven Wilson) e operistico (‘Tears Of Blood’ potrebbe essere tranquillamente un pezzo della Trans-Siberian Orchestra o di Avantasia). Gli appassionati dei primi Angra si commuoveranno in occasione di ‘Generation Warriors’ e ‘Faithless Sanctuary’, ma personalmente amo le dissonanze di ‘Gods Of The World’ e la rifiniture classiche della title track. In ogni caso è davvero complicato segnalare un pezzo o due di valore superiore in ‘Cycles Of Pain’, presentato con una copertina “da paura” a cura di Erick Pasqua. Dopo numerosi ascolti non mi ha mai annoiato, nemmeno per pochi attimi, e questo credo sia un pregio innegabile in un momento storico in cui la musica viene consumata e gettata praticamente subito.