Un silenzio durato anni, mentre nel resto del mondo la loro musica è stata presa come fonte di ispirazione da band che hanno iniziato a vendere tonnellate di dischi. Chissà cosa avranno pensato in tutto questo tempo i fratelli Robinson nel vedere il successo planetario di gente come Rival Sons, Dirty Honey, Blackstone Cherry e via dicendo. Probabilmente si saranno fatti due conti e avranno capito che sarebbe stato meglio seppellire le asce di guerra e ritornare nuovamente insieme per il proprio bene artistico ed economico e anche per far capire alle nuove leve che i Corvi Neri sono sempre i migliori quando si tratta di prendere gli strumenti e mandare giù a memoria la lezione dei maestri Stones e dei soliti Led Zeppelin. Ed allora, dopo il classico tour nostalgico, privo, purtroppo, del resto dei loro compagni di un tempo, non poteva non materializzarsi anche un nuovo album che vede la luce a distanza di ben quindici anni dal precedente e poco ispirato “Before The Frost…Until The Freeze”. Ascoltandolo con molta attenzione “Happiness Bastards” presenta alcuni aspetti decisamente positivi. Il primo è la voglia dei fratelli di suonare in modo diretto e viscerale, senza perdersi in sperimentazioni psichedeliche o in viaggi lisergici che ne avevano accompagnato il percorso nelle loro ultime produzioni. C’è un ritorno al sano rock, quello ruvido e sporco, che trova in pezzi come “Beside Manners” e soprattutto nella torrida “Rats And Clowns” la propria giusta sublimazione. Il secondo aspetto positivo è lo strizzare l’occhio anche al soul e un brano come “Cross Your Fingers” rappresenta ciò che di meglio si può desiderare nell’unione tra due generi così lontani, ma, allo stesso tempo, vicini. In più la reminiscenza dei Led Zeppelin, da sempre loro guide spirituali, viene fuori nelle tracce acustiche e lente come la bella “Wilted Rose” e la conclusiva “Kindred Friend” in cui pare di essere ritornati alle atmosfere del terzo lavoro di Plant e soci. Poi ci sono le classiche canzoni dei Corvi Neri quali possono essere “Bleed It Dry” (gli Stones qui sono veramente citati in modo sin troppo palese), “Follow The Moon” o l’incisiva “Wanting And Waiting”, con quest’ultima che non avrebbe sfigurato in album come “By Your Side” o lo stesso esordio (“Shake Your Money Maker”) pubblicato nell’ormai lontanissimo 1990. Insomma, tutto quello che uno desidera ascoltare dai The Black Crowes è ben configurato nel loro come-back, ma una sensazione di vuoto, comunque, rimane. Pur trattandosi di un disco suonato bene e genuino, ci si accorge da subito che manca il singolo bomba, la canzone che ti fa venire voglia di ritornare indietro e ripremere play, il pezzo che ti ricorderai anche tra venti anni. Qui dentro, purtroppo, la gemma da tramandare ai posteri non la si trova. La si cerca, la si desidera, la si vuole con tutto il cuore, ma non è presente. E non bastano i numerosissimi ascolti di un disco da sette e mezzo in pagella a scovarla, ma tutto sommato va, comunque, bene così.