Risulta decisamente strana la storia degli Art Of Anarchy, il supergruppo capitanato dai fratelli Votta e dal chitarrista Bumblefoot che ha avuto nel corso della sua non lunghissima storia problemi con i propri frontman, ovvero Scott Weiland e Scott Stapp. Il primo ci ha lasciati come tutti sappiamo, mentre con il secondo non è scattata la scintilla giusta. Di conseguenza, dopo uno stop lungo sei anni, la band ha deciso di puntare sul sicuro facendo una telefonata all’uomo giusto per tutte le occasioni, ovvero Jeff Scott Soto. Con l’ex Journey alla voce, le cose sono decisamente cambiate e in questo modo si è materializzato “Let There Be Anarchy”, un lavoro, lontano dalle sonorità alternative dei primi due album e molto vicino, invece, al prog metal, come dimostra l’iniziale “Die Hard” che non avrebbe sfigurato negli ultimi dischi dei Dream Theater. La cattiveria dei suoni trova una sua giusta sublimazione nella successiva “Echo Your Madness” e in “Dying Days” che sono brani che si lasciano ascoltare con piacere. Le cose più belle, però, si materializzano quando si rallentano i ritmi e le atmosfere diventano ancora più oscure. La lunga semi ballad “Vilified” sarebbe stata perfetta in “Operation Mindcrime II” dei Queensryche, anche se il meglio arriva con “Bridge Of Tomorrow” e soprattutto con “Writing On The Wall”, che, probabilmente, vede una delle interpretazioni più intense della lunghissima carriera di Soto che con la sua voce fa capire a tutti, casomai ve ne fosse ancora bisogno, di essere un vero e proprio fuoriclasse della materia. Episodi più commerciali non se ne trovano, a parte, forse, l’ariosa “The Good, The Bad, And The Insane”, introdotta da un arpeggio di chitarra spagnoleggiante, che ha un’apertura melodica in sede di ritornello decisamente importante. Per il resto, in un disco dai toni “darkeggianti” e cupi, ci si rende conto come la band abbia ritrovato la voglia di suonare e di jammare, attuando delle soluzioni che non sono semplici e immediate come si può notare nella conclusiva “Disarray” che è il giusto manifesto di un album che cresce in maniera spaventosa ascolto dopo ascolto. Non sappiamo cosa ci riserveranno i prossimi nove mesi del 2024, ma quello che si può affermare, con una certa tranquillità, è che “Let There Be Anarchy” si collocherà tra i migliori episodi metal del 2024.