Dopo oltre trent’anni di carriera, innumerevoli dischi, progetti di ogni tipo e inserimenti all’interno di band importanti come Poison e Mr. Big, Richie Kotzen sta raccogliendo finalmente i frutti del suo incredibile lavoro. Madre natura gli ha regalato un talento infinito sia come chitarrista e cantante e sia come songwriter di qualità ed il pubblico e, soprattutto, la critica pare se ne siano accorti solo ora. Pur non essendo stato con le mani in mano in questo ultimo periodo (vedi il supergruppo The Winery Dogs e il progetto a quattro mani con Adrian Smith degli Iron Maiden), erano ben sette anni che non usciva nulla a suo nome, se si esclude il box monumentale di inediti “50 for 50” pubblicato nel 2020 in occasione del suo cinquantesimo compleanno. Un lasso di tempo incredibilmente lungo per un uomo prolifico come il buon Richie che non ha fatto altro che aumentare la curiosità su quando avrebbe visto la luce un suo nuovo prodotto. Così, all’improvviso, ecco che spunta dal nulla questo “Nomad” che, in sede di presentazione, lo stesso Kotzen aveva definito come un lavoro ambizioso in cui si sarebbero notate tutte le sue influenze che spaziano dall’hard rock al soul, passando per il funky e la fusion. Queste parole si sono rivelate decisamente veritiere, visto che la varietà non manca nelle otto tracce inedite che si trovano nel disco. Quello che appare certo, conoscendo a menadito tutta la discografia dell’ex Mr. Big, è che quest’ultimo capitolo della sua carriera è sicuramente tra i meno immediati e, allo stesso tempo, più sperimentali che si possano ricordare. Le canzoni devono essere ascoltate parecchio prima di poter venire completamente assimilate, ad eccezione della ballad solo chitarra acustica e voce “This Is A Test”, che è l’ennesima dimostrazione del talento incommensurabile di quest’uomo. L’accoppiata iniziale formata da “Cheap Shots” e “These Doors” è un ottimo biglietto da visita. L’opener ha un riff che ricorda molto i Kiss degli anni settanta e si dipana su un tappeto melodico di prim’ordine che sfocia in un ritornello facile e immediato. La seconda traccia, invece, è un classico rock funky dove c’è il Kotzen degli ultimi anni che abbiamo ammirato anche nei The Winery Dogs. Con “Insomnia” le cose iniziano a cambiare. Ci si addentra in territori bui e sperimentali che saranno sublimati nella conclusiva “Nihilist” in cui il Nostro flirta con la fusion, senza, però, perdere di vista il formato canzone. Sono brani molto meno immediati del solito che necessitano di svariati ascolti per essere assimilati. Anche la titletrack ha un suo connotato oscuro e sinistro, ma riesce a venire fuori alla distanza in poco tempo. Le cose, poi, ritornano “normali”, con “Escape” e soprattutto con “On The Table”, altre due composizioni ariose e pregne di quelle melodie che sono, ormai, un suo consueto marchio di fabbrica. Praticamente in meno di un’ora Kotzen ci conduce in quello che è il proprio mondo multicolore, pieno di riferimenti e influenze di ogni genere. Lo fa con la sua consueta classe, grazie ad una voce che ricorda tanto Chris Cornell e a un tocco chitarristico riconoscibile tra centomila, aspetto, quest’ultimo, che si confà solo ai grandissimi dello strumento. “Nomad” non è affatto un disco agevole, ma ha la capacità di entrare e scavare nel profondo di chi vorrà avvicinarsi ad esso.