Nonostante siano tutti musicisti con altre esperienze alle spalle, gli inglesi hanno impiegato più tempo del dovuto per dare alle stampe il loro full lenght di esordio. Adesso però che posso parlarvi del loro post-punk d’annata, devo ammettere che le canzoni in questione sono cresciute molto negli ultimi mesi e che non vedo l’ora di potere ascoltare il seguito di ‘The Art Of Sod’. In breve, il quartetto è la risposta agli Idles - ‘Tangk’ è tra i dieci dischi dell’anno di Suffissocore - più prossima all’approccio sperimentale e pungente dei Public Image Ltd. che si possa trovare in giro. La grana di chitarra è eccezionale, il cantato debitore del post-punk con cui un po’ tutti siamo stati educati ma mai derivativo e la batteria in costante tiro. Tra le dieci tracce mixate da Wayne Adams, spiccano senza dubbio ‘Private Pyle’, ‘Down The Doomhole’ e ‘Cabaret’. Non perché siano necessariamente migliori delle altre, ma perché descrivono in maniera minuziosa le atmosfere, le situazioni ed i luoghi nei quali i Nothingheads amano muoversi. I synth e il basso di Matt Holt contrastano con le chitarre taglienti di Rob Fairey e Ed Simpson mentre Chanter Whitehurst dirige l’orchestra da dietro il drumkit. ‘The Art Of Sod’ esplora tematiche di voyeurismo, umili faccende domestiche e piaceri irraggiungibili spingendo a mille su dissonanze spirituali e improvvise esplosioni noise. La sensazione è che potrebbero diventare enormi, ripulendo leggermente certi arrangiamenti e sviluppando dinamiche più moderne.