A quattro anni di distanza dal magnifico ‘Vita Imperfetta’, Stefania Bianchi è riuscita a crescere ancora. Come una ragazzina che cerca disperatamente di aggiungere qualche centimetro alla sua altezza per non dovere usare tacchi troppo pesanti. Parlare di maturità sarebbe stupido perché la musicista milanese, capace ogni volta di mettersi a nudo e mostrarsi in tutta la sua sincerità e incertezza, è ancora molto giovane, lo dimostra col suo impegno alla radio in cui è una delle voci più apprezzate e coinvolgenti del panorama italiano, e inoltre siamo al cospetto di un disco molto diverso dal precedente. Mentre ‘Vita Imperfetta’ era caratterizzato da una forte componente elettronica, in un modo o nell’altro incisiva anche sugli arrangiamenti, ‘Nel Fiore Dei Tuoi Danni’ appare fin da subito un album parecchio diretto e concreto, alla continua ricerca di una connessione con l’ascoltatore grazie a testi intelligenti e onesti e una musicalità rara da trovare in circolazione. Un’evoluzione che parte dalla fragilità interiore così come da una grande energia necessaria per rispondere con tenacia e determinazione al cospetto di difficoltà in apparenza insormontabili. Alcune tracce, co-prodotte assieme a Max Zanotti (The Elephant Man, Casablanca) che suona pure la chitarra e ha saputo ricoprire l’intero lavoro di un alone dark, sono decisamente rock e pungenti ed altre più cantautoriali e narrative. Alla potenza live della scaletta ha contribuito Alessandro “Halle” Ducoli (The Elephant Man) e ogni arrangiamento è ricco di sorprese. L’interpretazione di Alteria rende magico anche il più piccolo dei dettagli e si passa dall’omaggio ai Pixies, nello specifico a ‘Where Is My Mind’ (“E ti ricordi dentro a quel locale…”), a liriche d’effetto come quelle di ‘Voglio Andare Oltre’ e ‘Salvami’. ‘Wonderful’ e ‘Camomilla Col Gin’ illuminano la prima parte di album mentre nella seconda spiccano la title track, ‘Personalissima Rivolta’ (forse il brano più legato agli esordi solisti dell’artista) e ‘E’ Colpa Mia’ (denuncia più o meno autobiografica nella quale un po’ tutti possiamo rivederci). Un percorso che si chiude ma che lascia comunque aperti degli interrogativi per il futuro. Di sicuro un disco non banale, sorretto da un impianto tecnico di tutto rispetto e quanto mai originale e ricercato. Un disco che sale di intensità di ascolto in ascolto e che conferma come si possa fare rock d’autore in Italia, senza scendere a stupidi e inutili compromessi o perdere in immediatezza. In attesa di riabbracciarla dal vivo (la release del fisico verrà festeggiata con un evento speciale al Factory di Verona in occasione dell’anniversario di Vrec), tanta poesia, ma quel giusto grado di grinta che distingue nel marasma delle uscite di casa nostra.