‘A Hope In Hell’ è probabilmente il migliore disco in carriera degli scozzesi. Possiede elementi di ‘Shrine’ e ‘Fracture’, gli altri capitoli discografici che dovete fare vostri a tutti i costi, ma anche un gusto melodico moderno che accentua la ferocia delle ritmiche e l’aggressività tecnica di una formazione che viaggia da diversi anni ai vertici del genere. Fresci di un tour europeo di supporto agli Slipknot, Craig Gowans e soci hanno tradotto la loro predisposizione per il metalcore ed il groove metal in undici pezzi vincenti che sorprendentemente riescono a funzionare sia da soli che in un contesto armonico e compatto. Molti si soffermeranno su ‘Immortal Desire’ e ‘Hands Of Sin’, non fosse altro perché sono impreziosite dalla presenza rispettivamente di Brann Dailor dei Mastodon (reduci da una separazione alquanto dolorosa cone Brent Hinds) e Josh Middleton dei Sylosis (che ricordiamo pure con gli Architects), ma gli apici in scaletta per il sottoscritto sono ‘Zenith’, ‘Dying Sun’ e ‘Edge Of Infinity’. Tre esempi lampanti di come si possa produrre metal violento, lancinante e lesivo (ascoltare la prova di Ali Richardson dietro le pelli per credere..) senza mettere da parte l’impianto melodico e soprattutto senza mai annoiare. La scaletta è quanto mai dinamica e il mixaggio di Ermin Hamidovic (Periphery, Rivers Of Nihil) esalta la performance vocale di Scott Kennedy, capace di ergersi sopra le ritmiche selvagge dimostrando di non sapere solo berciare ma anche di cantare (‘In Place Of Your Halo’ e ‘God Complex’). Davvero niente da invidiare a buona parte della concorrenza americana o australiana.