Il solo difetto di quest'album è di apparire leggermente enciclopedico. Per il resto è pura manna dal cielo e chi ha goduto in questi anni della poesia shoegaze dei Jesu rimarrà quasi paralizzato di fronte al regime industriale improntato da capo dagli inglesi. L'approccio compositivo di Justin K. Broadrick non è mai stato autocelebrativo ma rispetto a capolavori come 'Streetcleaner' e 'Pure' è evidente che l'universo in cui si muovono le rotatorie dei Godflesh sia differente. La verità è che sono trascorsi tredici anni da 'Hymns' e nel frattempo tante cose sono cambiate. Nella musica, nel mercato discografico, nella considerazione che abbiamo della tecnologia. Quello che non è cambiato è il senso di desolazione, pesante ed opprimente, che sperimentiamo di fronte al declino industriale moderno. Centinaia di luoghi devastati dall'avidità umana, fabbriche che uccidono la natura e resti di altre che deturpano l'ambiente, cicli operativi, sonorità metalliche e liquidi oleosi che si disperdono sul suolo. L'urgenza di 'Decline & Fall' è stata in parte mitigata dal desiderio di strutturare un concept che non deludesse i discepoli dei tempi che furono e sono certo che 'New Dark Ages' farà commuovere in molti. L'intero album è colmo di riff anthemici con G.C. Green che fa sentire il suo contributo soprattutto negli estratti più punk come 'Life Giver Life Taker' e 'Imperator'. Il macigno di 'Deadend' sembra sferrato dai Napalm Death mentre 'Shut Me Down' avrebbe potuto essere il singolo di 'Selfless'. Chiude le danze 'Forgive Our Fathers' trasmettendoci la convinzione che questo straordinario musicista avrà modo di esprimere ancora la sua lucida follia su ritmiche più rallentate.