Una sesta fatica in studio capace di mostrare il lato più estremo di una band che ha provato a saltare sul carrozzone più collegiale del deathcore ma poi forse ha capito che ispirarsi ai vecchi valori poteva rendere maggiormente. Non me ne vogliano i Whitechapel che seguiranno senza dubbio il loro istinto e cercheranno di esperimere qualcosa di personale ma sarà difficile convincermi della loro purezza estetica. Questo rimane e probabilmente rimarrà pure in futuro il loro limite. Detto questo 'Mark Of The Blade' è prodotto come dio comanda da Mark Lewis e non a caso le influenze di Cannibal Corpse e The Black Dahlia Murder emergono in maniera copiosa. Phil Bozeman grida quasi non ci fosse un domani e il guitar work si spinge a volte addirittura in ambito black e djent. 'The Void' è il pezzo più canonico del lotto mentre 'Bring Me Home' quello più metal con un coro che potrebbe far comodo agli ultimi Hatebreed tanto è rigoroso il messaggio della band che ha esordito dieci anni fa – celebrati con la conclusiva 'Decennium' - con 'The Somatic Defilement'. Le tre chitarre ricoprono un ruolo fondamentale nell'economia sonora dei Whitechapel così come il drumming selvaggio di Ben Harclerode che in 'Etilist Ones' e 'Tormented' si supera sul serio.