Non ho dubbi nel definire quest'album come l'uscita migliore della Season Of Mist per l'anno in corso. Non solo gli svedesi hanno raggiunto compiuto progressi decisivi in termini di songwriting e arrangiamenti rispetto all'esordio di quattro anni fa ma la loro musica nel frattempo è diventata uno strumento per fondere i risultati ottenuti di recente in ambito avantgarde metal con due diversi bagagli emotivi come quelli legati all'ascolto di hardcore e black metal. Due generi apparentemente lontani che in 'All Hail The Swinelord' si avvicinano, lottano, pretendono spazio ed infine, senza scendere ad alcun compromesso, trovano la loro dimensione comune. In tale condivisione i This Gift Is A Curse esibiscono talento e rettitudine, sanno seguire le regole ma anche stravolgerle completamente. In generale le trame sono più complesse e dilatate di quelle di 'I, Guilt Bearer' e il blackcore di 'XI For I Am The Fire' o 'We Use Your Dead As Vessels' sa essere epico come i Manowar di 'The Crown And The Ring' o gli Iron Maiden di 'Revelations'. Un altro paragone potrebbe essere quello con gli Emperor di 'Anthems To The Welkin At Dusk' eppure, se non si fosse capito, siamo al cospetto di un gruppo estremamente moderno e aperto a contaminazioni plurime. Molto ruota attorno alla tremenda ugola di Jonas. A. Holmberg che riesce ad inserirsi a meraviglia tra le sferragliate di riff e i disumani blast beat prodotti rispettivamente da Patrick Andersson e Johan Nordlund. L'inaudita violenza di 'New Temples' e 'Rites' non faccia pensare ad un profilo tecnico dimesso. Al contrario i This Gift Is A Curse possiedono capacità individuali talmente enormi da potersi permettere qualunque cosa. E quando, alla fine della sontuosa 'Askrådare', vengono chiusi i battenti si ha la sensazione di avere goduto di un'esperienza memorabile.