La formazione sassone si muove con destrezza tra melodic death e gothic doom, rileggendo con intelligenza la lezione dei maestri degli anni novanta e intrattenendo l’ascoltatore con atmosfere malinconiche ed un guitar work essenziale e compatto. Mentre in passato le performance dal vivo avevano di gran lunga superato l’impeto delle registrazioni in studio, adesso possiamo affermare senza timore di smentita che ‘King Delusion’ è un prodotto con pochi difetti, competitivo sia sul mercato europeo che oltreoceano e sufficientemente vario per non annoiare chi certa musica la ascolta da un vita. Il songwriting è progredito soprattutto nella capacità di alternare passaggi aggressivi e stacchi melodici ma anche gli arrangiamenti vocali si rivelano più curati rispetto ai due lavori in studio precedenti. L’apice della scaletta coincide con ‘Uncage My Sanity’, eccellente esempio dell’espressività canora di Raimund Ennenga così come ‘Protean’ e ‘Memento’. In generale l’album è consigliabile a chi ama Paradise Lost, Swallow The Sun e primi Opeth e con un pizzico di coraggio in più in termini di produzione i risultati potrebbero essere notevoli.