Negli ultimi mesi gli stimoli elettronici più interessanti per chi scrive sono provenuti dalla terra islandese ed in particolare da Samaris e Vök che hanno monopolizzato alla lettera il mio stereo costringendomi a rimanere costantemente indietro nell’ascolto del materiale che arriva in redazione. Inutile dire che ci si aspettava molto dal successore di ‘Delta Machine’ ma forse, un po' per questioni di età ed un po' per l’incapacità di tanti protagonisti della nostra storia di rimanere al passo coi trend ci si sarebbe accontentati di un album di spessore con un paio di singoli in grado di non sfigurare nel prossimo tour che si annuncia come al solito imperdibile. ‘Spirit’ è invece un vero capolavoro, un meccanismo elettronico senza precedenti dove le influenze rock e blues vengono mutuate in sudore live, poesia e pragmatismo. In assoluto il migliore pubblicato dai Depeche Mode da ‘Ultra’ ad oggi. L’aspetto curioso è che si tratta anche dell’album più politico mai partorito dagli inglesi nella loro lunga carriera. In passato avevano puntato il dito contro l’evoluzione del sistema mediatico, ‘Black Celebration’ e ‘Music For The Masses’, e contro gli abusi perpetuati dalle religioni organizzate e la follia dei predicatori, ‘Songs Of Faith & Devotion’, ma lo Zeitgeist in questo caso si traduce in una lettura cinica e quanto mai fisica di quello che vediamo in televisione o volgendo lo sguardo per un attimo mentre guidiamo. L’iniziale ‘Goin’ Backwards’ riflette l’orrore del warfare moderno, ‘Where’s The Revolution’ irride gli statisti che sottomettono le nazioni chiedendosi se abbia ancora senso parlare di certe forme di proteste in una società in cui gli individui sono considerati insignificanti. Niente di meglio di un Dave Gahan in stato di grazia per trasmettere un messaggio diretto all’umanità che non sa più qual è il suo posto nell’universo. La sua esperienza nei Soulsavers ha reso più varie le parti vocali offrendo calore ad un prodotto caratterizzato da altissima ingegneria. Un senso di incertezza, un brivido, anzi molti brividi, che rendono il frastuono di una marcia militante qualcosa di tremendamente melodico. So benissimo che sarebbe sufficiente lanciare ‘So Much Love’ e godersi una versione moderna di ‘A Question Of Time’ per decretare il primo posto in classifica di quest’album ma perché limitarsi alla nostalgia quando è possibile fissare l’orizzonte a testa alta. ‘You Move’ è un invito, quanto mai femminista, a scatenarsi sotto palco al cospetto delle coreografie ispirate al lavoro di Anton Corbijn, stranamente complementare con le lente ‘The Worst Crime’ e ‘Cover Me’ che si riallacciano alle atmosfere di ‘Playing The Angel’. Pure il legame con ‘Sounds Of The Universe’ a tratti è palese ma i suoni sono totalmente diversi anche perché, dopo la trilogia con Ben Hillier, i Depeche Mode si sono affidati a James Ford dei Simian Mobile Disco, già capace di mostrare le proprie qualità con Florence & The Machine e Arctic Monkeys. Quando nascono certe collaborazioni è difficile stabilire chi abbia il merito più grande ma è indubbio che la produzione di ‘Spirit’ sia quanto di meglio si sia ascoltato sul pianeta da tempo immemore. Un album che ti sbatte al muro, ti lascia inerme, ti violenta con le parole e con le note, come se ad averlo scritto fossero stati dei ragazzi alle prime armi. L’energia e la sfrontatezza sono quelle. L’esperienza e la maturità quelle di tre colossi del music business che tra l’altro sembrano volere attrarre a loro Alan Wilder con una scaletta in cui c’è tanto di ‘Some Great Reward’, New Order e Recoil. L’identità degli autori di ‘Violator’ non viene intaccata né tradita ma scordatevi la ricerca di movenze dance presente in ‘Exciter’. Addirittura ‘Scum’ viene sporcata da beat industriali che riportano alla mente ‘The Downward Spiral’ dei Nine Inch Nails. Altre gemme corrispondo a ‘Eternal’, interpretata da un Martin Gore inguaribile romantico, e ‘Poison Heart’, che impiegherà quattro minuti per entrare nel cuore degli appassionati di tutto il mondo. In chiusura ‘Fail’, ci ricorda come ‘it’s futile to even start hoping. If justice will prevail, the truth will tear the scales. Our dignity has sailed, we failed.”