Ciao Kalle, non solo il ‘The Hunting Party’ mi è piaciuto molto ma credo che, in tempi di servizi streaming e social, sia sempre più raro trovare in circolazione album così interessanti da ascoltare dall’inizio alla fine.
Ti ringrazio. Ci abbiamo lavorato molto. L’idea era di pubblicare un disco che rappresentasse il lavoro di una band e non di un solo elemento. Blind Ego è da sempre il mio solo project, ma nel corso degli anni i musicisti che ho coinvolto hanno assunto ruoli sempre più importanti e adesso siamo una live band a tutti gli effetti.
Partiamo dall’inizio della tua avventura solista. Come hai scelto il nome del progetto?
Era tutto diverso allora. Sapevo che non avrei cantato su alcun pezzo quindi non mi piaceva usare Kalle Wallner e così ho scelto qualcosa di diverso. Blind Ego suonava bene e l’ho tenuto.
Dopo aver ascoltato ‘The Hunting Party’ ho ricercato negli archivi e scoperto i primi lavori. Possiamo dire che ‘Liquid’ è stato una sorta di svolta nella carriera dei Blind Ego e che prima ti muovevi in territori più sperimentali?
Il progetto è nato perché avevo da parte tante canzoni che non si adattavano ai RPWL. Il materiale iniziale era decisamente più sperimentale. Nel primo album c’erano tre cantanti diversi. Non mi sono mai posto deadline per le uscite tanto che sono passati sette anni tra ‘Numb’ e ‘Liquid’. Sono stato impegnato con la mia etichetta e con altri progetti, ho lavorato come chitarrista session e naturalmente sono stato in giro con i RPWL. Quando uscì ‘Liquid’ quindi le canzoni erano pronte da tempo e rifinite nei dettagli. Anche in quel caso i cantanti erano tre di conseguenza era più un progetto che un gruppo vero e proprio. La svolta è arrivata secondo cme con ‘Preaching To The Choir’ perché in quel caso ho voluto cercare il sound di una band. E poi c’è stata la pandemia e in quel periodo ho scritto un album strumentale con Marco Minneman.
E il processo di ‘The Hunting Party’ invece com’è stato?
Ogni album ha la sua storia. Ovviamente c’è molto di personale nella scrittura, buone e cattive emozioni. Le liriche le ho scritte con Dominik Feiner e possono essere intepretate in più modi. Alcune hanno uno sguardo rivolto al sociale. Stavolta però le parti vocali non sono state registrate da Scott Balaban, ma da un nuovo cantante ovvero Kevin Kearns. Mi trovo molto bene con lui e la band ha assunto profilo live spiccato. L’album può essere descritto come un ibrido tra classic rock, progressive e AOR con qualche elemento moderno, ma di sicuro è il più rock che abbiamo mai pubblicato. Registro diversi demo in studio e quando ho ascoltato i primi demo di questo nuovo album ho subito capito che sarebbe stato più rock.
La scaletta è molto varia. Per esempio la title track è molto diversa da ‘When The Party’s Over’.
Questo è dovuto alla scrittura. Seguo l’istinto e mi lascio trasportare. Mi piace pensare che più un album sia vario e più sia piacevole ascoltarlo e non dimenticarselo in breve tempo. Yogi Lang, oltre ad essersi occupato delle parti di tastiera, si è occupato del mixaggio e ha spinto le canzoni su un livello superiore.
Cosa volevi ottenere in termini di produzione?
Posso assicurarti che non mi sono ispirato a qualcosa in particolare. Produco in continuazione, sia per conto proprio che per altri gruppi o per mia moglie che ha il suo progetto Tanyc, e cerco di non farmi influenzare troppo da ciò che ascolto. Stavolta volevo che i pezzi suonassero più diretti, mi hanno suggerito di provare Kevin come cantante e mi sono trovato subito a mio agio col suo stile. Questo ha sicuramente agevolato il processo. Il fatto che provenga dall’ambiente metalcore non mi ha spaventato.
Che tipo di prog ascolti?
Oltre a Pink Floyd, Genesis e Rush non sono molto influenzato dal prog. Sicuramente più da band come Metallica o comunque dall’hard rock degli anni ottanta. Il mio gruppo moderno preferito sono probabilmente i Foo Fighters, ma naturalmente apprezzo molto Steven Wilson e tutto ciò che ha fatto in carriera.
Avete realizzato una versione Dolby Atmos dell’album. Vi accomuna la passione per questo formato.
Già nei primi concerti negli anni novanta con i RPWL avevamo un secondo sistema PA, prima ancora che pubblicassimo il nostro primo album in quadrofonia. Ci piaceva coinvolgere le persone nel modo più ampio possibile. Dolby Atmos è l’esperienza più moderna che puoi vivere adesso e si sta diffondendo parecchio. Uno dei miei studi è equipaggiato con Dolby Atmos e quindi possiamo fare dei mix da soli con quella tecnologia ed è molto divertente.
(parole di Kalle Wallner)