-Core
Edenshade
Italia
Pubblicato il 01/06/2011 da Lorenzo Becciani
Cosa vi intriga così tanto della Sindrome di Stendhal da averla presa in prestito per il titolo dell'album?
Il titolo del disco è nato in maniera abbastanza strana. Stavo cercando una frase che innanzitutto suonasse eldquo;musicaleerdquo;, che potesse generare curiosità e fosse in qualche modo stimolante per chi la leggeva. Volevo un titolo strano, intrigante, in qualche modo fosse collegato al fatto che gli Edenshade sono una band italiana e meglio ancora se per associazioni di idee avesse rimandato alla città di Firenze. Così ho buttato tutte queste idee sul tavolo in una sorta di brainstorming eldquo;virtualeerdquo; e quasi per caso mi è venuta in mente la parola eldquo;Stendhalerdquo;. Aveva tutti i prerequisiti che cercavo e incredibilmente si sposava in maniera perfetta con i temi del disco.La sindrome di Stendhal è una sindrome che si manifesta come una specie di attacco di panico, che coglie chi è sopraffatto dalla bellezza dell’arte, in particolare a Firenze e ancora più in particolare di fronte a Santa Croce. L’idea di fondo dietro al titolo è semplicemente che Stendhal ci sia eldquo;arrivato vicinoerdquo;, senza capire a fondo il meccanismo che scatena il panico.
'The Lesson Betrayed' era una sorta di concept sulla fragilità umana. Quali temi avete affrontato stavolta?
'Stendhal Got That Close' non nasce come un concept album in senso stretto, in realtà non volevo scrivere delle canzoni legate le une altre. Alla fine pereograve; mi sono ritrovato a scrivere dei testi fortemente autobiografici per cui, in un certo senso, l'album si è trasformato in un concept con me come protagonista. Man mano che mettevo insieme le idee, i testi sono diventati una sorta di diario che copre il periodo che va dalla metà del 2008 alla metà del 2010. In quel periodo mi sono ritrovato a viaggiare parecchio per lavoro in tutto il mondo e quello stesso periodo è coinciso con la fine di una relazione molto importante. 'Stendhal Got That Close' racconta la storia di un uomo che si ritrova a saltare da una città all’altra, tra alberghi, musei e aeroporti, ugualmente affascinato dal concetto di viaggio come da quello di eldquo;tornare a casaerdquo;, costretto ad affrontare la fine di una relazione e successivamente l’illusione di poterla recuperare. A questi temi si è poi aggiunta una eldquo;sottotramaerdquo;, lasciata volutamente molto sullo sfondo e sviluppata dai samples presenti all’interno dei pezzi e nel video di 'Need' Per deformazione professionale sono sempre stato molto affascinato dalla fisica quantistica, dal concetto di spazio tempo e dai paradossi. Un po’ come in Donnie Darko o Lost se vuoi. Mi piaceva l’idea di dare questo eldquo;coloreerdquo; in più al tutto: il fatto che sia teoricamente possibile viaggiare nel tempo attraverso un wormhole apre una serie di scenari davvero affascinanti da un punto di vista umano, oltre che scientifico. Potrei parlare di queste cose per ore, pereograve; mi fermo qua altrimenti rischio di diventare noioso.
Quali sono le differenze sostanziali tra 'The Lesson Betrayed' e 'Stendhal Got That Close' in termini di produzione e mixaggio?
Diciamo innanzitutto che 'Stendhal Got That Close' è molto più focalizzato in tutto, a partire dalle scelte dei suoni. 'The Lesson Betrayed' era la mia prima esperienza come produttore di un album intero in studio di registrazione, dunque lo scopo finale era ottenere dei bei suoni e basta. 'Stendhal Got That Close' al contrario suonava già nella mia mente in questo modo prima ancora di scrivere le canzoni e lavorare a quello che sarebbe poi diventato 'The Paper Days'. Considera che ho cominciato a lavorare con Enrico proprio perché volevo dare una svolta elettronica più marcata al suono degli Edenshade e volevo lavorare in un certo modo sulle voci. 'Stendhal Got That Close' suona in maniera molto più eldquo;rockerdquo;, se mi passi il termine, basso e batteria sono enormi, e tutto il disco suona molto eldquo;neroerdquo;, pesante e contemporaneamente vivo. Le parti eldquo;rockerdquo; sono continuamente affiancate da sezioni o brani elettronici e, se da un lato il salto è ben amalgamato, dall’altro lo stacco si sente: quando eldquo;entra la banderdquo; è tutto molto più grosso e caldo.
Avete seguito degli album in particolare come traccia guida?
Spero di non attirarmi idee sbagliate sul disco, ma quando pensavo a che tipo di disco volevo, avevo in mente 'Untitled' dei Korn da un lato (proprio per l’idea di aver un album che fosse eldquo;mezzo suonatoerdquo; e eldquo;mezzo elettronicoerdquo;) e i suoni pesanti di 'Untouchables'. Durante la fase di mix i dischi di riferimento poi in realtà sono stati altri, non tanto per eldquo;copiareerdquo; questo o quel tipo di produzione, quanto per tenere sotto controllo il bilanciamento dei suoni in riferimento a certi dischi con delle produzioni major. Per confrontare il lavoro mentre mixavamo ascoltavamo gli ultimi dischi di Stone Sour, Alter Bridge e Korn.
In quale direzione avete cercato di sviluppare il suono della band?
Volevo innanzitutto scrivere un disco di canzoni. Al di là di quelle che potevano essere le scelte di fondo di cui parlavamo prima (fare un disco pesante e con una forte impronta elettronica), l’idea era quella di riuscire a costruire delle canzoni, basate sulla melodia e su dei solidi riff di chitarra, cercando di eliminare al massimo gli orpelli inutili. Se ci fai caso, la durata di ogni singola canzone difficilmente supera i quattro minuti, e tutto il disco non arriva a 35 minuti: la cosa in effetti è un po’ in controtendenza con quello che si vede ultimamente, ma volevo che ciascun passaggio, ciascuna melodia fosse valorizzata al meglio. Avremmo potuto tranquillamente raddoppiare la lunghezza del disco semplicemente ripetendo qualche ritornello o aggiungendo un assolo extra qua e là ma non avrebbe avuto senso. Ciascuna nuova canzone era ritenuta valida quando aveva un riff di chitarra coinvolgente e un ritornello che riuscissero a renderla unica, riconoscibile e dotata di una sua identità, una sua anima. Un po’ come si faceva anni fa nel rock appunto: tutte le canzoni che poi sono diventate eldquo;immortalierdquo; hanno un grande riff portante ed un grande ritornello. Meglio comporre un riff spettacolare piuttosto che cento riff mediocri.
Quanto è stato importante 'The Paper Days' per focalizzare il materiale che avevate pronto?
E’ stato importantissimo perché se da un lato è stato il primo test di questo metodo di lavoro focalizzato su riff di chitarra, elettronica e melodie, dall’altra parte è stata la dimostrazione che potevo andare avanti occupandomi io stesso delle parti di voce. Senza girarci intorno, se non fossi io a cantare adesso gli Edenshade probabilmente non esisterebbero più. Dopo che la vecchia lineup degli Edenshade si è sfaldata, in realtà ho trovato lo stimolo per andare avanti soltanto perché spinto da questa sfida.
Introduciamo adesso il nuovo disco con un breve track by track...
'Need', il pezzo di apertura e il primo singolo, è in realtà la canzone melodicamente più atipica del nuovo album, almeno per quelli che erano i canoni della band. Dopo aver registrato la preproduzione, ancora prima di finire di comporre le altre canzoni, sapevamo comunque già che sarebbe stata l’opener del disco. Ha un riff di chitarra immediato e groovy e di sicuro è un inizio un po’ spiazzante per chi è abitutato a 'The Lesson Betrayed' o anche 'The Paper Days'. Aprire il disco con un pezzo così d’impatto e diverso ci è pereograve; subito sembrato un buon modo per mettere in chiaro dove stavamo andando. Liricamente descrive il picco di un attacco di panico, la successiva fase di sbandamento e l’ammissione, nemmeno tanto velata, che a volte abbiamo bisogno che qualcuno abbia bisogno di noi per sentirci bene.
'Seven Days Are Gone' è costruita quasi tutta in una divisione metrica dispari in 7/8. Divisioni come questa danno una sensazione come di incompiuto ed è proprio da lì che nasce l’idea del testo. Ho immaginato due persone imprigionate in una relazione destinata a terminare dopo 7 giorni, costretti ciclicamente a incontrarsi e perdersi dopo sette giorni senza ricordare di aver vissuto tutto infinite volte prima di quella. L’idea è che a un certo punto uno dei due si renda conto che c’è qualcosa nella struttura delle cose che non quadra e cominci a darsi una spiegazione per il senso di incompiuto che prova, trovando in qualche modo una sorta di pace interiore e sorridendo quando si rende conto di cosa sta succedendo.
'Everything I Painted You' si trovava già su 'The Paper Days', ed è uno dei pezzi più pesanti del disco e che ha, in parallelo, uno dei ritornelli più accattivanti.
'Consequences' è il primo pezzo ad introdurre la sottotrama alla Lost di cui ti parlavo sopra. Si tratta di una traccia strumentale solo elettronica che a me ricorda delle cose dei 30 Seconds To Mars. E’ stato l’ultimo pezzo ad essere scritto, e bilancia perfettamente il resto dell’album a mio parere. Se vuoi una curiosità, il working title del pezzo era '2AM'. Ho scritto la melodia portante del pezzo alle due di mattina nel letto usando pianoforte del mio iPad, mentre non riuscivo a prendere sonno. Per paura di dimenticarla l’ho appuntata nota per nota sul blocco note dell’iPad stesso per poi registrarne una demo il giorno successivo.
'Building A Bomb For A Lover' è la canzone più pesante e diretta dell’album, con un riff portante molto nevermoriano e una coda di piano, archi ed elettronica. Il testo descrive i pensieri di un uomo seduto al bancone di un bar, che guarda una vecchia foto con un whisky in mano. Un po’ Hank di Californication se vuoi, si chiede quand’è che la relazione che aveva si è rotta e, tra l’ironico e il disperato, non riesce a trovare qualcosa da bere che lo faccia sentire un eldquo;uomo miglioreerdquo;. Il fatto che il titolo indichi che sta eldquo;costruendo una bombaerdquo;, suggerisce che le sue intenzioni per la notte non sono assolutamente di eldquo;comportarsi beneerdquo;. Sono sempre stato molto orgoglioso dei testi degli Edenshade, li ho sempre considerati uno dei nostri tratti distintivi, ma penso che quelli di questo disco siano davvero speciali, e quello di questa canzone lo sia particolarmente.
'Caress' è la seconda canzone estratta da 'The Paper Days', ed anche qui penso che il passo avanti sia enorme, sia a livello di melodie che di resa generale del pezzo. Come in tutto il resto dell’album, la batteria di Alessandro Vagnoni degli Infernal Poetry è incredibile.
'Another Purity Failing' contiene al suo interno tutte le caratteristiche del disco e forse è il pezzo che potrebbe essere visto come il più rappresentativo delle varie facce di 'Stendhal That Close': un riff portante groovy e melodico, una strofa basata solo su voce e elettronica, ritornello melodico ed un paio di riff ed assoli che possono ricordare i Megadeth. Enrico Tiberi canta il preritornello e Lorenzo Morresi canta in growl l’ultimo ritornello con me.
'Airplanes And Her' è l’altro pezzo solo elettronico. Avevo detto ad Enrico che mi avrebbe fatto piacere avere un eldquo;suoerdquo; pezzo da inserire nella tracklist, visto che la sua partecipazione alla produzione dell’album in realtà spesso si era trasformata in una scrittura a quattro mani, tanto che cofirma con me molti dei pezzi. La parte strumentale è poi rimasta ferma per settimane o forse mesi. L’idea per il testo mi è venuta nel maggio dell’anno scorso. Stavo tornando da New York e sono rimasto fermo a Monaco per uno scalo per più di quattro ore; ho sempre pensato che gli aeroporti hanno qualcosa di poetico, come se fossero luoghi fuori dal mondo e dal tempo. Non so se ricordi, ma in quei giorni c’era stata l’emergenza dell’eruzione del vulcano islandese che aveva fermato tantissimi voli, io ero comunque partito perché la cosa sembrava rientrata. Dopo otto ore di volo in cui avevo dormito pochissimo, stavo tornando a casa ed ero completamente in preda a sonno e jetlag e mi sono ritrovato a vagare in quella enorme gabbia di cristallo e acciaio sentendomi un po’ sfasato rispetto allo spazio e al tempo appunto.
'God Is A Comedian' è una citazione di Voltaire, che dice che eldquo;Dio è un commediante che recita per un pubblico troppo spaventato per ridereerdquo;. E’ forse il pezzo più melodico dell’album, con uno dei riff più intricati che mi sono trovato a scrivere. Ascoltando il disco si percepisce l'amore per gruppi come Korn e In Flames ma anche l'interesse per territori alternative originali.
Come bilanciate impatto strumentale e parti vocali nell'approccio compositivo?
Come dicevo prima, l’idea di questo disco è dovevamo avere melodie e riff portanti che fosse abbastanza forti e solidi da reggere su di loro tutta la canzone. Partendo da questi elementi veniva sviluppato il pezzo. Una volta fissati le parti strumentali passavo a costruire le voci. Ho composto la maggior parte delle melodie di voce in macchina, registrandole sul mio telefono mentre guidavo. Essere io stesso a cantare i miei testi e le mie canzoni mi ha dato uno stimolo incredibile nella composizione e mi ha aperto un sacco di possibilità espressive, sentendomi molto più libero nel eldquo;lasciare indietroerdquo; le chitarre dove questo serviva. Considera che poi certe cose sono nate invece col procedimento opposto, partendo dalle melodie di voce, come ad esempio il ritornello di 'God Is A Comedian'. Con Enrico ci eravamo imposti l’idea che il eldquo;pezzoerdquo;, la eldquo;canzoneerdquo;, dovesse funzionare in quanto tale prima di tutto, a prescindere dai suoni e dalla produzione: più di una volta ci siamo ritrovati a provare i pezzi solo piano o chitarra acustica e voce, per capire se le melodie in sé funzionassero a dovere.
Chi ha realizzato la copertina? A cosa vi siete ispirati?
La copertina è stata realizzata da me insieme ad un mio amico fotografo, Marco Tamburrini. Sono molto orgoglioso di come è venuta, abbiamo costruito lo scatto da zero, partendo dall’idea di voler creare un ambiente che potesse essere lo sfondo, l’ambientazione di tutti i testi. Ho immaginato un personaggio che stesse cercando qualcuno o qualcosa, in maniera ossessiva, quasi compulsiva, e che si ritrovasse a viaggiare in cerca di prove per la sua eldquo;tesierdquo;, cioè che appunto Stendhal eldquo;ci era arrivato vicinoerdquo;. Sulla copertina è ritratto in preda ad un attacco di panico, nella sua stanza che ha le pareti e il pavimento ricoperti di appunti e cartine. Se ci fai caso, ci sono tantissimi elementi che ritrovi nei testi: l’attacco di panico di 'Need', i viaggi e gli aeroporti di 'Airplanes And Her', il whisky e le sigarette di 'Building A Bomb For A Lover', la stanza di 'Seven Days Are Gone'. Quello nell’angolo sono io, mi sono messo là semplicemente perché serviva qualcuno rannicchiato, non perché volessi essere in copertina, e anzi abbiamo fatto attenzione a che la mia faccia restasse nascosta. Nonostante questo mi hanno riconosciuto tutti. Inoltre tutta la roba appesa alle pareti è mia, si tratta di cartine, depliant di musei, biglietti aerei che ho custodito dopo tutti i miei viaggi degli ultimi anni. Ancora di più dunque questo disco rappresenta una specie di diario per me.
Avete girato uno splendido video per 'Need'. Com'è stata l'esperienza?
Non avevamo mai girato un video per uno dei nostri pezzi, ed era qualcosa che volevo fare da un po’. Conoscevo Marco Poderi dai tempi dei Dynamic Lights e sapevo che ora aveva uno studio di produzione, dunque lo stavo corteggiando da un po’ chiedendogli se aveva voglia di buttarsi nella realizzazione di un video. La mancanza di tempo, fondi e in parallelo di un’idea che fosse realizzabile senza dover investire migliaia di euro ci aveva finora fermato. Dopo aver fatto lo scatto della copertina, averlo post prodotto, gli ho mandato il risultato, sicuro che la scena lo avrebbe eldquo;affascinatoerdquo;: due settimane dopo eravamo di nuovo lì a rimontare tutto esattamente com’era per girare il video. L’esperienza è stata fantastica, abbiamo realizzato tutto girando in una sola giornata, Marco e Luca Zangheri (l’attore principale) sono dei professionisti, e insieme a loro tutti gli altri che sono stati coinvolti nella realizzazione sono stati impeccabili. Prima di cominciare a lavorare al video avevo eldquo;spaventatoerdquo; Marco, mettendolo in guardia su quanto rompicoglioni io fossi quando si tratta di realizzare qualcosa per gli Edenshade, ma ci siamo trovati talmente bene a lavorare insieme che alla fine poi è diventato il nuovo chitarrista della band!
Quali obiettivi vi eravate posti prima di iniziare le riprese?
Volevamo realizzare un clip che fosse sicuramente un po’ diverso dal solito, e che, come per il titolo del disco, fosse d’impatto e lasciasse con dei punti interrogativi. Con Marco ci siamo scambiati tantissime idee per definire e limare la sceneggiatura, delineando tutte le scene in maniera certosina; avevamo pochissimo tempo per girare e soprattutto la sfida era grande: dovevamo rendere interessante e mantenere viva l’attenzione su un uomo che si agita all’interno di una stanza per tre minuti prima che accada l’unica cosa che accade. Luca poi è stato davvero fantastico a tenere la scena e il lavoro di regia e postproduzione hanno poi fatto il resto.
Lo spettro di colori del vostro sound è molto vario. Quali sono le tinte che preferite?
La prima volta che ho riascoltato 'Stendhal Got That Close' per intero prima di mandarlo ai Finnvox per il mastering, sono rimasto colpito di quanto l’album mi piacesse e mi sembrasse eldquo;completoerdquo;. E’ stata credo la prima volta in cui tutti gli aspetti di un album mi soddisfacevano davvero, dai suoni, alle scelte melodiche, ai testi e all’insieme del disco in sé. Non saprei davvero dire se al momento mi piacciono più gli Edenshade elettronici di 'Consequences' o 'Airplanes And Her', i riffoni di 'Building A Bomb For A Lover' o le melodie tra Korn e Anathema di 'Seven Days Are Gone' per esempio.

(parole di Stefano Wosz)
Edenshade
From Italia

Discography
Ceramic Placebo For A Faint Heart (2003)
The Lesson Betrayed (2006)
Stendhal Got That Close (2011)