Una gemma indie. Questa definizione sarebbe già sufficiente a scatenare entusiasmo o comunque provocare attenzione alla cantautrice originaria di Minneapolis e diplomata al Berklee Music College di Boston ma allo stesso tempo le farebbe un torto. Questo perché ‘Little Black Book’, il suo straordinario debutto discografico, svela un potenziale che va ben oltre la sfera indie, quanto odio questo termine, o alternative pop che dir si voglia. In fase di presentazione ho letto paragoni con Cat Power, Bat For Lashes e Feist e vi assicuro che potrei continuare elencandovi tutta una serie di artiste nordiche o anglosassoni meritevoli di starle accanto in un’ipotetica playlist. Così facendo però verrei meno alla deontologia professionale perché nella musica di questa ragazza dagli occhi profondi i segreti sono più numerosi di ciò che si potrebbe pensare. Nessun arrangiamento in scaletta è scontato, nemmeno quando la sola chitarra acustica sorregge la sua fantastica voce si ha la sensazione di un approccio veramente minimale. ‘Still Frames’ e ‘Wake Me Up’ sono i due singoli che ce l’hanno fatta conoscere – assieme al rifacimento di ‘Amy’ di Ryan Adams - ma ciascuna diapositiva rappresenta un tassello fondamentale nell’immaginario, emozionale e decadente, di un’artista strepitosa, solo in apparenza fragile e timida. One Little Indian (Bjork e Ásgeir tanto per fare due nomi) ha visto lontano e adesso siamo noi a volerla vedere dal vivo.