Quando ho conosciuto il produttore australiano, ormai residente da anni in terra islandese, ho avuto veramente l’impressione di trovarmi di fronte ad un gigante. Non solo per il fisico statuario e la personalità carismatica ma perché ho trovato in lui una conoscenza omnia della musica, non solo elettronica. A distanza di un paio di mesi da ‘Threshold Of Faith’, quello che lui stesso ha definito un “esercizio basato sulla ristrettezza di mezzi e sulla saturazione cromatica” e “un tentativo di tradurre in musica uno spettro di vividi cromatismi ultramarine” si rivela un potente ritorno che si pone in aperto contrasto con l’approccio aggressivo e sperimentale di ‘A U R O R A’. Considerato quanto ho amato quel disco e quanto lo ritenga importante per l’evoluzione della musica techno-ambient dell’ultimo decennio, mi sono dovuto necessariamente mettere alla prova sfidando ‘The Centre Cannot Hold’ e il suo autore in una gara verso la totale perdita di coscienza. Non so dirvi chi ha vinto quella gara ma di sicuro, dopo tre-quattro ascolti al buio, la scaletta si è rivelata di colpo, assumendo una posizione trasversale rispetto a qualunque cosa sia uscita di recente e mostrando retaggi di ‘By The Throat’ e, sarà una sorpresa per molti, della collaborazione con Wayne McGregor e la Icelandic Dance Company. Incuriosisce il fatto che la produzione sia stata seguita da Steve Albini ma per la Mute questo e altro e al cospetto di tracce come ‘A Sharp Blow In Passing’, ‘Ionia’ e ‘All That You Love Will Be Eviscerated’ non posso che inchinarmi.