Un vinile magnifico, con un bel tacco di donna in copertina, che suona da Dio e conferma ad alti livelli i milanesi, già apprezzati per il pungente ‘Estasi’. Questa estate il talentuoso regista Brace Beltempo, conosciuto per The Carpenter’s House, ci ha offerto una visione più moderna e se vogliamo commerciale di una band che prende spunto dal punk rock degli anni ‘70 (‘Bye Bye Boy’) e dall’hardcore del decennio successivo. Limitarsi al bellissimo video di ‘Love Me Do Again’ sarebbe però un peccato perché nel successore di ‘Dengue Fever Hypnotic Trip’ c’è davvero di tutto: dagli esordi noise (‘Eat Acid See God’) alla psichedelia di Toy e Tame Impala, dalle canzoni orecchiabili ad alcuni passaggi che non aspettano altro che essere violentati sul palco di un locale fumoso (l’iniziale ‘Mashilla’, ‘Ciotola di Satana’ e ‘FYBBD’). I The Gluts sono una macchina dal vivo e scorrendo la scaletta appare evidente quale sia il loro obiettivo principale, ma il pregio maggiore di ‘Ungrateful Heart’ è forse quello di sembrare più un “album” rispetto ai lavori precedenti. Non solo grandi canzoni, ‘Black Widow’ e ‘Something Surreal’ su tutte, ma un impatto generale da brividi, influenze che si rincorrono l’una dopo l’altra ed elementi di raccordo, a tratti palesi ed in altri frangenti più misteriosi. Come dicevo, i suoni sono strepitosi e Bob de Wit (A Place To Bury Strangers, White Hills) ha saputo esaltare il basso e la voce di Claudia Cesana senza affossare gli altri strumenti, spingendo la band su un livello superiore pur mantenendola fedele alle origini. In Europa i gruppi rock di questo spessore si contano sulle dita di una mano e nelle stanze della Fuzz Club Records – etichetta londinese tra gli altri di King Gizzard And The Lizard Wizard, Cult Of Dom Keller e 10 000 Russos - l’hanno capito bene.