In questo momento il gruppo di Max Zanotti non ha rivali in Italia. Non è un fatto di classifiche, di sfide a distanza o di capricci tra addetti ai lavori. É una questione di classe pura. Tra maschere e punti di sutura, ‘Pace, Violenza O Costume’ rimane uno dei migliori dischi rock usciti negli ultimi anni e l’ex Deasonika, di recente attivo pure in versione solista con ‘A Un Passo’, sapeva bene quanto sarebbe stato difficile superarsi. Per farlo ha deciso di portare all’estremo le caratteristiche sonore e rendere la produzione semplicemente impeccabile. La duttilità dell’approccio compositivo si nota nelle sfumature, curate in maniera maniacale, ed il cantato si eleva altissimo sia quando viene citata la massima espressione del rock in lingua madre degli anni ‘90 sia quando il gruppo scava negli abissi, aggrappandosi talvolta al grunge e talvolta al blues più nero per non sprofondare definitivamente. Alteria ha restituito il favore, visto che Max Zanotti aveva prodotto e registrato con lei lo stupefacente ‘Vita Imperfetta’, illuminando la toccante ‘Nella Sete’ ma i continui crescendo melodici e ritmici della scaletta non vi daranno tregua. Si passa da due pezzi di una glacialità strabordante come ‘Il Cane Cieco’ - “Che male fa, aver pietà, la guerra in due non finirà. Correte qui, sparateci…” - e ‘Muore Milano’ all’esistenzialismo di ‘La Via Del Male’, dalle riflessioni auliche della title track e della conclusiva ‘Fossi Dio’ a due gemme sonore come ‘Noi Stavamo Bene’ e ‘La Mia Cura Psichedelica’. Max Zanotti, supportato come sempre dal talentuoso chitarrista Rosario Lo Monaco e da una solidissima sezione ritmica, formata da Antonio Mesisca e Stefano Facchi, è incontenibile. Denuncia la divisione sociale del mondo di oggi e poi ci prende a schiaffi con poesia e chitarra, un pizzico di elettronica e quello spessore che vorremmo trovare negli arrangiamenti di tutte le formazioni italiane, ma che al contrario è assai raro da trovare in circolazione. Non porsi limiti è per pochi. Le immagini della storica pellicola con Ingrid Bergman e Humphrey Bogart scorrono bianco e nere, senza sosta, ed il cuore fa male per un attimo. Perché al cospetto di musica del genere è normale provare affanno. Subito dopo però ci si sente fortissimo, inattaccabili, invincibili ed i ragazzi che vedo intorno ne hanno tanto bisogno. Un ultimo appunto lo lascio alla copertina, che completa un’opera d’arte totale, oltre a descrivere al meglio il tumulto interiore che scaturisce dall’ascolto, e suggerisce di fare propria una copia del vinile. Un feticcio è vero. Un oggetto datato, ma di bellezza infinita.