A nove anni da ‘PiecesOfUsWereLeftOnTheGround’, il nuovo album ecosostenibile (“Chiamarlo rispetto per il pianeta è riduttivo”) dei bolognesi appare sospeso tra le rovine del mondo attuale e la parabola discendente dell’industria musicale. Un album che a tratti non sembra vero, ma solo fragile e etereo come i dischi di Brian Eno. In fase di presentazione colpisce una frase di Wittgenstein (“Dobbiamo sempre essere preparati ad imbatterci in una nuova strada. In una strada alla quale non avevamo pensato”) e probabilmente Pasquale Pezzillo – che si supera in ‘Siberia [BeforeTheFlood]’ e ‘Antropocene’ - negli ultimi tempi ha pensato spesso a quale forma dare al ritorno del suo progetto. La scaletta è molto lunga, con poche parti cantante, omaggi alla poesia di Ungaretti e saturazioni orchestrali e dilatazioni sonore intrise di paesaggi ritmici narrativi, tra elettronica, dark e post-rock (‘Komorebi’). Sulla bravura dei Joycut c’è poco da discutere, basti pensare che Robert Smith (‘TheFirstSong’ potrebbe essere dedicata a lui) li ha invitati a partecipare al Meltdown Festival, e mai come stavolta sono riusciti ad immettere sul mercato un’opera totale, risultato di influenze non solo musicali ma anche letterarie, pittoriche e politico-ambientali. Sarà estremamente curioso ammirarne la trasposizione live.