Un salto nel buio o qualcosa di estremamente pianificato. Qualunque sia la verità, il successore di ‘We Are Not Your Kind’ è un album vuoto dentro. Al suo interno farete fatica a trovare non soltanto l’aggressività senza limite ma anche la straordinaria efficacia compositiva che hanno caratterizzato un po’ tutta la carriera del gruppo originario di Des Moines. Al di là della sorprendente apertura di ‘Adderall’, un midtempo che sarebbe stato bene su un album degli Stone Sour e che lascerà in tanti perplessi, e della conclamata ripetitività di singoli come ‘The Dying Song (Time To Sing’), a salvarsi sono pezzi come ‘The Chapeltown Rag’ e ‘Warranty’, che trasmettono veramente la carica micidiale che il collettivo possiede dal vivo. Per il resto è difficile ritrovarsi, alcuni episodi sembrano scarti di precedenti registrazioni e per un pezzo come ‘De Sade’ ci saremmo attesi un vortice di suoni oscuri e pesanti, non quelli scelti da Joe Barresi (Bad Religion, The Bronx). Shawn Crahan parlando di ‘The End, So Far’ ha detto “nuova musica, nuova arte e nuovi inizi”. A questo punto viene da chiedersi se siamo al cospetto di un lavoro affrettato per chiudere un contratto discografico o inaugurare una nuova era, ma di sicuro non di un lavoro in studio capace di competere con i masterpiece del passato.