Quando finisce un anno e ne inizia uno nuovo si tende sempre ad evidenziare tutto ciò che non è andato per il verso giusto sperando in qualche certezza in più e augurandosi di non commettere i medesimi errori. A dare continuità col passato sono sicuramente gli svedesi, incapaci di registrare un brutto album dai primi anni ‘90 ed al contrario capaci di fornire un’interpretazione sempre nuova della materia heavy, a volte anche estrema. La band guidata da Jonas Renkse, la cui voce non sembra affatto subire l’usura del tempo, cita gli Opeth nell’apertura progressive di ‘Austerity’ e si muove con libertà assoluta tra atmosfere malinconiche, retaggi doom-death, risvolti classic metal (‘Behind The Blood’) e passaggi più accesi e dinamici del solito (‘Colossal Shade’ e ‘Birds’). Il successore di ‘City Burials’ è un album meno tecnico, anche se Anders Nyström resta un chitarrista superbo e Daniel Moilanen fa il suo sporco lavoro dietro le pelli, e più mentale, da ascoltare a fondo al fine di scoprire tutte le sue sfumature. Un album che il frontman ha voluto bilanciare tra improvvise esplosioni live e melodie orecchiabili (‘Opaline’) senza che la cupa aura che da sempre riveste le release dei Katatonia venisse minimamente intaccata. Joel Ekelöf dei Soen appare in ‘Impermanence’ e non mancano i collegamenti a vecchie gemme della discografia come ‘Viva Emptiness’ e ‘Dead End Kings’. In attesa che il cielo si riempa di nuovo di stelle.