Un poeta dell’assoluto. Conny Ochs vaga per il mondo, con la sua chitarra in mano e non ha bisogno di nient’altro che un microfono datato e qualche pedale per suscitare le emozioni più potenti e viscerali in chi si pone all’ascolto. Il suo percorso all’indomani della pubblicazione di ‘Doom Folk’, un album che ha dato vita ad un vero e proprio genere e che il sottoscritto non ha ancora tolto dal piatto dell’impianto stereo, è stato all’insegna della sperimentazione e del live, con l’esperienza con i Trialogos ad alternarsi alle performance soliste. Quando è salito sul palco di Serravalle Rock sapevo già cosa aspettarmi, eppure ha saputo dilaniarmi. La sua voce è spettrale, bollente, quasi demoniaca. Di sicuro arriva al cuore. Ti prende e non ti lascia più. In circolazione non ci sono più personaggi del genere e se ci sono vengono deturpati nella loro essenza dall’industria discografia, privati della libertà di agire secondo natura o addirittura resi superficiali e ridicoli per vendere qualche copia in più. Conny Ochs invece è libero. Non avrà raggiunto la fama che merita, il successo economico o l’eternità, però sa connettersi col proprio pubblico in maniera esclusiva e le sue canzoni sono una forma di terapia. Il linguaggio che utilizza è universale. ‘Wahn Und Sinn’, presentato con l’avvincente artwork a cura di Abi Salvesen, è nato come raccolta di poesie, testi scritti, sia in tedesco che in inglese, su qualche quaderno e poi ripresi improvvisamente quando l’urgenza di esprimersi è divenuta insostenibile. Per farlo Conny Ochs non ha voluto soltanto pubblicare un piccolo volume, ma si è fatto trascinare dalla possibilità di collaborare di nuovo con Tobias Vethake, per tutti Sicker Man, e così è nato un album fantastico. Un album strutturato su un pezzo più intrigante dell’altro ma ugualmente compatto e letale nella sua globalità. Hannes Scheffler si è occupato del resto della produzione e del mixaggio mettendo in risalto l’accento ruvido di un musicista impossibile da collocare temporalmente. Parliamo di arte contemporanea, senza dubbio, però retaggi degli anni settanta convivono agilmente con spunti moderni e riflessioni del disagio che nutriamo nel quotidiano. ‘Hickhack’ si rivela dark e schizofrenica e contrasta apertamente con ‘Risse’ e ‘Lumos’, in cui appare Anne Ochs, che seguono binari più consolidati. ‘Welle’ è forse l’episodio più vicino alla visione di ‘Doom Folk’ e ‘Melancholia’ rappresenta al meglio il concept di follia e senso, su cui si potrebbe girare un film. Una pellicola in bianco e nero ovvio.