Tra i tanti progetti portati avanti dal poliedrico Jim Matheos, i North Sea Echoes rappresentano, probabilmente, il punto più alto. Affiancato dal fido Ray Alder, suo compagno di viaggio nei Fates Warning, il nostro si muove su coordinate molto sognanti, che spaziano tra i Depeche Mode, i Paradise Lost (quelli di “Host”) e David Bowie. Insomma, ci troviamo all’interno del gotha di artisti che hanno fatto la storia e che il duo cerca di omaggiare attraverso un pugno di canzoni belle ed intriganti, come l’accoppiata formata da “Flowers In Decay” e “Throwing Stones”. Sono due brani struggenti, pregni di melodie accattivanti che non possono non suscitare emozioni in chi le ascolta. C’è pathos, e anche tanto, nella lenta “We Move Around The Sun”, mentre il Duca Bianco, quello dell’ultimo periodo prima della morte, è chiaramente omaggiato in “Where I’M From”. Le chitarre rimangono in tutto lavoro molto in sottofondo, a differenza dell’elettronica che, invece, viene fuori in tutto il suo splendore in “The Mission” che è a metà tra i Depeche Mode e i Paradise Lost. La voce di Alder, elegiaca e pulita, si sposa benissimo con la qualità che permea ogni singola traccia. In più (questa è una qualità dei grandi dischi) “Really Good Terrible Things” ha il pregio di crescere ascolto dopo ascolto e di non lasciare deluso chi ci si avvicina ed ha voglia di evadere dalla solita routine musicale. Del resto ce n’è per tutti i gusti. Non manca la gemma acustica e sognante rappresentata da “Touch The Sky” in cui Alder, ancora una volta, si avvicina a Bowie per interpretazione, così come risulta di rilievo la conclusiva “No Maps”, cupa e ossianica al punto giusto. Non sappiamo cosa ci riserverà il 2024, ma siamo certi che questo album è già entrato nel nostro cuore e nella nostra testa. Non abbiate paura ad avvicinarvi a “Really Good Terrible Things”. Dopo averlo ascoltato ne trarrete giovamento sotto ogni punto di vista.