Sul fatto che i transalpini abbiano contribuito ad istituzionalizzare il blackgaze ci sono pochi dubbi e sarà eccitante riabbracciarli dal vivo, ma nel corso degli anni la loro proposta ha finito per omologarsi e ‘Le Chants De L’Aurore’ è pervaso, quasi nella sua interezza, da un senso di stanchezza compositiva che in tutta sincerità non ci saremmo attesi a cinque anni di distanza da ‘Spiritual Instinct’. Forse alcuni brani sono stati trattati troppo da Neige – al solito in aperto contrasto col drummin’ letale di Winterhalter - che siamo certi avrà fatto di tutto per rendere perfetta la scaletta, però qualcosa non funziona. La luce del sole filtrata dalle foglie di ‘Komorchi’ introduce la memorabile accoppiata formata da ‘L'Envol’ e ‘Améthyste’ mentre ‘Flamme Jumelle’ cita pericolosamente i Sigur Rós e poi fugge nello shoegaze dei primi anni ‘90. Il resto del materiale è di livello, ma non lascia il segno come avremmo voluto. La bellezza della Natura viene sottolineata con enfasi drammatica e poesia, la catarsi viene stigmatizzata quasi fosse un processo ripetitivo e le liriche sfumano nella più struggente e desolante descrizione di quello che diventiamo quando cerchiamo di neutralizzare i nostri demoni. Lo spessore è immutato, eppure sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più – sarà un’impressione sbagliata per carità ma la stessa etichetta non sembra crederci troppo - dopo un silenzio discografico più lungo del dovuto. Speriamo poi che ‘L’Adieu’ non rappresenti la triste testimonianza di una nazione che sta voltando le spalle alla democrazia.